[Cabrinews] Gauss e le dimostrazioni semplici

mauro.cerasoli a alice.it mauro.cerasoli a alice.it
Sab 31 Gen 2009 17:41:45 CET


Caro Paolo
ho apprezzato le tue riflessioni sulle definizioni che condivido in larga parte, però ci sono due punti sui quali desidero intervenire e cioè dove dici
“oppure si cadeva nella più bieca banalità aneddotica (la nota vicenda del piccolo Gauss e del maestro che lo punì)”.

Intanto il maestro non lo punì, ma lo premiò. Su questo ha già risposto Maurizio Frigeni e altre informazioni le trovi su “I grandi Matematici” di Eric Temple Bell. Mi permetto di osservare che quello che conta non è “se è stato o no Gauss a dimostrare in quel modo che la somma faceva 5050 (si rischia di guardare il dito) ma che c’è un metodo semplice ed elegante per fare presto i conti, diverso da quello che ha sempre insegnato il maestro (invece di guardare la luna). Ti posso assicurare che quando racconto questa storiella a “non docenti di matematica” e soprattutto a chi, per esempio in treno o in albergo, dichiara che “odia la matematica”, in genere mi sento rispondere: “Perbacco, come mai a scuola queste cose non le dicono e ci fanno fare quei brutti conti come voleva quel maestro?”.

Poi aggiungi:
 “Oltretutto il problema con soluzione breve e fulminante, supremamente intelligente, tende ad essere umiliante (o lo sai fare oppure non fai nulla, non c'è storia; se non lo sai fare, c'è pure il rischio di sentirsi scemi)”.

Questo invece è il punto su cui non sono d’accordo e mi dispiace che tu la pensi così. Intanto spesso a “essere umiliato” è il docente che dall’allievo si sente dare questa “soluzione breve e fulminante” e quindi è lui che “rischia di sentirsi scemo”. Ti faccio un esempio che, a differenza di quello del piccolo Gauss, è poco noto. Il problema della trave da ricavare da un tronco: qual è il rettangolo di area massima che si può inscrivere in un cerchio? I quasi tutti i libri di testo la soluzione è data indicando con x la base del rettangolo. Si deriva (nel senso che si fa una derivata) una espressione con radicali, si risolve un’equazione e si conclude che è il quadrato. 
In qualche libro più sveglio puoi trovare la soluzione in cui con x si indica l’angolo tra la diagonale (diametro) e la base del rettangolo. Questa volta la soluzione si ricava senza derivate perché sin(2x) è massimo per x uguale a 45°. 
Ora ti chiedo: se la prossima volta che risolvi il problema nei modi precedenti, uno studente ti dice:
“ professore ma è facile, l’area del rettangolo non è uguale solo a base per altezza, come ci ha insegnato lei, ma anche a diagonale per altezza relativa alla diagonale. Siccome la diagonale è costante, sempre uguale al diametro, l’area è massima quando l’altezza (la x giusta) è uguale al raggio e quindi è il quadrato!“ 
tu come ci resti?
Poi si alza un altro studente e dice: “Professore, c’è una soluzione ancora più semplice. L’area del rettangolo parte da zero quando la base è il diametro orizzontale e l’altezza, ridotta a un punto, è nulla. Poi cresce per ridiventare zero quando la base è un punto e l’altezza è il diametro verticale. Per ovvi motivi di simmetria il massimo si deve avere nel punto centrale dell’arco che percorre l’estremo in alto a destra, cioè quando è un quadrato.
Ecco, dopo quest’altra soluzione, chi è che si sente umiliato?
Queste soluzioni puoi darle anche alla scuola elementare, dove non ci sono seni né derivate. Basta fare come Gauss. Credo che in questo consista insegnare bene la matematica, non a calcolare  derivate.
Voglio confessarti che molti dei miei primi lavori di ricerca in probabilità erano di questo tipo: generalizzare risultati noti ridimostrandoli con tecniche molto semplici, invertendo certi punti di vista. Ma questa è un’altra storia (come concluse il barista  baffone alla fine del film “Irma la dolce”).
Saluti cari con simpatia
Mauro


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-----Messaggio originale-----
Da: cabrinews-bounces a liste.keynes.scuole.bo.it per conto di Paolo Francini
Inviato: ven 30/01/2009 4.39
A: Lista di discussione sul software matematico
Oggetto: Re: [Cabrinews] Definizioni. Grazie
 
Penso sia un lavoro importante e alla lunga gratificante, lavorare sulle 
definizioni (non facendone un capitolo a parte, tipo "dimostrazioni", 
lavorarci nel quotidiano ragionando sopra le definizioni che si danno, 
andando anche a scavare nelle peripezie storiche di quando in quando). Non è 
lavoro sprecato: molte difficoltà sono proprio difficoltà di adattamento ai 
linguaggi anche all'università.

Le idee possono sì generarsi e moltiplicarsi anche tramite confusione, ma
poi si procede verso successive chiarificazioni e verso
lo scioglimento di nodi che in un primo stadio possono essere
impliciti o nascondersi dietro il linguaggio utilizzato (vedi le incertezze 
generate da un aggettivo come "infinito"...).

In questo senso, l'elenco pedante di definizioni può essere sì sterile e
mortifero, o perfino disorientante, se fuori contesto o prematuro,
se non si integra in un processo già radicato e ricco di significati.

E'  un fatto spontaneo e sano che il
corredo di definizioni tenda ad accrescersi in precisione e a ridurre le
possibili
ambiguità. Succede del resto in tutte le discipline, succede spontaneamente 
nei
giochi dei bambini, che dopo tanto litigare si accordano (o almeno 
cominciano ad accorgersi che dovrebbero farlo). Non
ammazza il
dipanarsi di idee nuove o di nuova conoscenza, non deprime la creatività: 
semmai il contrario, ne alleggerisce i fardelli.
A chi insegna penso serva sobrietà (non avarizia) nelle definizioni, 
arrivarci con ragione e con sentimento: risorse come la memoria, 
l'attenzione,
la capacità di fissare sono limitate (troppe definizioni può significare
perdere di vista quelle che contano; ricordo una volta un corso dove 
spiegavano delle relazioni la proprietà riflessiva, transitiva, simmetrica, 
antisimmetrica, a-simmetrica, antiriflessiva, a-riflessiva, e poi ordini 
totali parziali forti deboli... una caciara).

Ma lo sviscerare con pazienza è parte intima delle
attività matematiche, senza la pretesa che questo basti per, o esaurisca il,
fare matemtica. Va acquisito perfino il gusto di definire. Si confondono,
fanno fatica (gli studenti) a comprendere e distinguere definizioni: nemmeno
gli si fa un buon servizio a esimerli da questa fatica nella loro infanzia
matematica.

Per esempio, nella geometria euclidea conta poco o niente se un segmento ha 
o non ha
gli estremi, così come in fisica una durata.
Anzi, questa distinzione nella realtà del mondo si fa inafferrabile,
pare oziosa. Già in analisi, un
intervallo aperto e uno chiuso sono due bestie molto differenti.
Se poi ci si imbarca per lidi più lontani ancora, allora tocca accorgersi 
presto che
non di sottigliezze astruse si tratta, ma distinzioni (e definizioni:
bordo, interno, disco, palla, e poi sempre di più) che aprono varchi per la 
comprensione
di fatti profondi.

Qualcosa di simile succede in casi innumerevoli, dall'idea di figura
convessa a quella d'insieme infinito, e così via.
Una volta afferrati certi concetti, si può generare molta
matematica che ne coglie le manifestazioni: matematica che altrimenti
nessuno avrebbe visto. Le due cose vanno insieme. Sono processi spontanei,
rientrano nel ciclo vitale dei linguaggi e dei pensieri.

Il confine tra definizione come abbreviazione (imposizione di nomi) e 
definizione come
concettualizzazione è sottile, anche evanescente. Perché appunto noi
uomini, la nostra
capacità attentiva è attiva e selettiva, la nostra mente non funziona per
semplici sostituzioni di stringhe con altre stringhe.
Occorre generare quelle che abbiamo chiamato idee, serve un linguaggio: non
ne possiamo fare a meno.

Una definizione quindi può essere, è spesso, non solo un'abbrevizione ma un
punto d'arrivo (di una serie
di questioni che pongono talune esigenze o di una serie
di possibili formulazioni di un certo concetto intuitivo che si
vorrebbe esplicitare o formalizzare: vedi l'idea di "continuità" o
"cardinalità" o di "infinito", per fare qualche esempio spicciolo). Un punto
d'arrivo che a volte si deve evitare di
banalizzare o di appiattire entro la dimensione di "nozione". Un punto che è
anche di partenza e strumento di lavoro: i concetti, ricompattati,
divengono mattoni utilizzabili per costruirci.
Un conto è l'idea di polinomio, trattarli come oggetti, "vederli", altro
conto incontrare volta a volta quantità variabili e arrabattarsi.
In tutto questo è decisiva l'azione dell'insegnante. Ma su queste cose
mi sa che siamo tutti d'accordo, è senso comune, forse non era questo il 
punto in questione (il quale, lo confesso, forse ora mi sfugge).

La creatività risiede spesso nel ragionamento induttivo, o nel punto di 
vista, ed è
anche vero che l'esposizione "igienica" alla perfetta deduzione può 
ingannare, può occultare la
genesi reale delle idee e dei problemi sottostanti (proprio questo temo sia 
quello che accade in molti casi nelle università, per quel che ho potuto 
vedere
(mi ricordo quelle bellissime dimostrazioni con la magia finale: il gioco 
era di far saltare fuori epsilon; intendiamoci la caccia all'epsilon serviva 
pure, era anche simpatica -- ma solo per chi aveva già capito tutto quanto); 
(ricordo anche che in molti casi l'unica presenza umana in certi corsi era 
qualche nome a fianco di qualche teorema: un mondo di spettri senza volto 
dove qualcuno, chissà dove quando
come chissà perché, nella sua vita aveva messo a posto quel pezzetto del 
corso di analisi o di geometria; oppure si cadeva nella più bieca banalità 
aneddotica (la nota vicenda del piccolo Gauss e del maestro che lo punì: 
temo come minimo d'averla sentita 300 volte almeno, senza peraltro mai uno 
straccio di fonte o documentazione a supporto (ecco ne approfitto per un
appello a chi leggesse: esiste o no uno straccio di testimonianza, o è alla 
stregua dei coccodrilli che sbucano nei bagni dalle fognature? già
che ci sono, anche un secondo appello, più umanitario: invoco pace per Gauss 
e per il povero maestro, a che questo eterno supplizio?)))).

Attenzione però: la matematica non è solo creatività. Non sempre è simmetria 
bellezza eleganza. E' anche amministrazione, lavoro gregario, fatica, 
pazienza. Non dileggiamo l'umile calcolo, il piccolo virtuosismo, la 
formuletta: ha un valore anche quello. Oltretutto il problema con soluzione 
breve e fulminante, supremamente intelligente, tende ad essere umiliante (o 
lo sai fare oppure non fai nulla, non c'è storia; se non lo sai fare, c'è 
pure il rischio di sentirsi scemi). Direi, attenzione anche alla sindrome 
delle prove dal Libro. Quelle sono cose che a noi matematici ci piacciono 
parecchio, per definizione. A chi piace il calcio per forza piace Maradona. 
Maradona fa la storia però le partite si giocano anche coi Gattuso, o forse 
soprattutto. La soluzione breve ed elegante, illuminante, è un lusso che non 
sempre ci si può concedere, e possiamo concedercelo quando le cose si 
assestano in una trama e tutto si fa chiaro. Quando la materia non è più 
giovane, quando la teoria è matura, quando si passeggia per terreni noti. 
All'inizio si vaga, ci si perde, s'imboccano sentieri tortuosi, si fatica. 
Quanto è formativo andare subito per la strada giusta, dato che abbiamo già 
letto il libro? Bella la simmetria, esperienza meravigliosa cogliere la 
perfezione del ragionamento breve e conclusivo che evita tortuosità e 
fatiche, essenziale sviluppare anche questo gusto (per esempio come 
paradigma al quale tendere). Ma che sia conquista, che non significhi 
l'esenzione dalle fatiche, che non arrivi gratis (neppure la si potrebbe 
assaporare davvero, e potrebbe essere fuorviante), che si sappia darsi da 
fare e scarpinare di buona lena se l'intuizione vincente non arriva.

La deduzione asettica può rivelarsi esperienza inautentica.
Eppure fa parte del gioco, non si può ignorarla. Mi spingo a dire che 
rientra
nell'educazione matematica anche l'imparare a relazionarsi a questa dinamica
(tradurre l'induzione o il punto di vista in deduzioni, afferrare il 
significato reale di definizioni
formali, comprendere gli schemi sottostanti a determinate deduzioni).
Trovare briciole di vita in quanto viene presentato in modo da apparire 
statico, generare in proprio immagini evocative di pensieri.
Bisogna imparare a farlo presto, già a scuola: all'università (chi gli
capiterà di trovarci un po' di matematica) si potrebbe non disporre di altro
aiuto per questo passo. ((Anche a questo va temprato fin da scuola il 
ragazzo che potrebbe proseguire gli studi: c'è rischio a viziarlo troppo con 
discussioni amene e con fascinosi laboratori... si rischia di sentirsi 
magari poi un po' responsabili "all'apparir del vero", è una minaccia 
concretissima che ci pende sopra.)) E quindi forse non tutto, non sempre, va 
zuccherato.

Il tarlo rimane di quanta di quella (inevitabile, anche preziosa) nebbia
debba o non debba diradarsi per opera dell'insegnante medesimo. Quanta si
debba lasciarla sbrigare ai ragazzi.
La dialettica chiarezza/confusione, quanto all'efficacia dell'insegnamento e
al lascito di un docente ai suoi alunni, credo sia una dinamica per nulla
banale. La scelta che si compie in proposito è cruciale e caratterizzante.


Un saluto a tutti,
Paolo


----- Original Message ----- 
From: Daniele Gouthier
To: quagliaf a gmail.com ; Lista di discussione sul software matematico
Sent: Sunday, January 25, 2009 12:13 AM
Subject: Re: [Cabrinews] Definizioni. Grazie


perché scusarsi!
mi sembra una delle più interessanti discussioni da molto tempo
credo che le diversità di vedute siano una gran bella ricchezza
e va a tutto onere di questa lista il fatto che i suoi membri riescano a 
esprimerle


devo dire che da un po' gli interventi mi sembravano tecnici o off-topic
qui abbiamo parlato di matematica
e non avendo la verità in tasca da una discussione come questa mi porto a 
casa molte idee, citazioni, esperienze altrui





Il giorno 24 gennaio 2009 22.38, quagliaf <quagliaf a gmail.com> ha scritto:

Scusate, non avrei mai immaginato che il mio intervento, vi assicuro in 
buona fede, avrebbe scatenato tutto ciò.
Ad un certo punto ho pensato che avrei fatto meglio a cancellarmi dalla 
lista e sparire per sempre. Ora visto che sembra che tutto sommato la 
discussione non è finita in "rissa" e c'è anche chi dichiara di essersi 
divertito..............
forse posso osare spiegare il contesto in cui è nata la domanda:
lavoro molto in classe anche sulle definizioni, inizialmente aiuto i ragazzi 
a verificare che le definizioni siano oltre che precise coerenti, non 
ambigue, li esorto a verificare quelle fornite dal testo, a criticarle se 
necessario. Li invito a confrontare i termini matematici con gli stessi 
termini usati in un contesto quotidiano ( pensate all'intervallo matematico 
e alla ricreazione....)... insegno in un biennio linguistico Brocca. Mi 
sento vicina a Roberta, quando i ragazzi si appassionano allora ecco che 
nascono anche le domande come quella che vi ho proposto.
Ringrazio tutti,
Franca Quaglia

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Daniele Gouthier, PhD

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