[Cabrinews] Articolo di Maraschini e Palma

Paolo Cavallo ton0621 a iperbole.bologna.it
Dom 15 Lug 2007 12:14:13 CEST


Ritengo utile (e perdonabile nei termini del diritto d'autore)
trasmettervi l'articolo comparso oggi su /il manifesto/, che trae
evidentemente ampio spunto dalle discussioni di questa lista.
Spero che gli autori non me ne vogliano.

Paolo Cavallo

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"La mattina del giorno 12 corrente, mentre il professor Giani saliva in
cattedra per fare la prima lezione al secondo corso liceale, il piano
della cattedra sotto i suoi piedi cominciò a schioppettare e ad ardere,
sì che n'ebbe i calzoni giù in basso abbronzati, e indignato di tanto
insulto, si ritrasse dalla scuola". Non c'era ancora YouTube a
diffondere la scena: era il 1875, ma l'indignazione e l'ironia su
marginali episodi della vita nelle aule era anche allora facile. Del
resto, negli atti dello stesso liceo, tuttora esistente e prestigioso,
si legge anche che "ora la gioventù è, ognuno lo sa, inchinevole a
seguire più le seduzioni della natura e del sentimento che i dettami di
una retta ragione e di una legge che impone sacrifici". E qui sembra di
essere proiettati nell'oggi, nelle lamentele di quegli opinionisti che
rimpiangono la scuola dei bei tempi andati: oggi, come ieri, i giovani
vengono descritti con connotazioni di ignoranza e indifferenza verso la
cultura loro trasmessa.
La scuola italiana ha certamente molti problemi, ma non li si risolve
guardando al passato, a una scuola selettiva e classista, spesso seria
solo nei ricordi, così come sembra emergere dalle reazioni al recente
articolo di Luigi Berlinguer. In realtà, l'articolo pone un problema
ineludibile per chi voglia una scuola di massa, orientata alla
costruzione di una cittadinanza consapevole, istruita e in grado di
formarsi opinioni documentate sulle grandi questioni, quali per esempio
i temi scientifici e economici che riguardano la vita delle persone. Una
scuola cioè che produca un sapere utile, una rete di conoscenze e
competenze su cui costruirne altre nella vita adulta.
È possibile "conciliare equità socio-culturale e qualità"? Questa è,
appunto, la domanda centrale, a cui si aggiunge quella conseguente: come
costruirla? Vedere quantità e qualità come grandezze inversamente
proporzionali non aiuta alla soluzione del quesito, non solo perché
riproietta verso un habitus selettivo, e di fatto classista, ma anche
perché non raggiunge l'obiettivo di formare cittadini - non solo élite -
in grado di districarsi all'interno dei flussi di informazioni in cui
sono oggi immersi, di elaborare criteri autonomi di giudizio, di essere
soggetti nella sfera pubblica.
Costruire una scuola di massa di qualità è obiettivo alto, ma non
impossibile se si affrontano contemporaneamente e con pari forza più
aspetti spesso tenuti divaricati: i contenuti
dell'insegnamento/apprendimento, le forme che tale processo assume oggi,
cioè il fare scuola concreto, i soggetti coinvolti e i loro bisogni, le
strutture in cui essi sono collocati.
La scuola italiana è ancora fondamentalmente una scuola fatta di lezioni
ex cathedra, in cui - in un'epoca in cui gli studenti hanno a
disposizione informazione e mezzi produttivi e espressivi di vario genere
- la ricerca individuale o collettiva, il problem solving, i laboratori
e il senso di ciò che viene studiato sono largamente assenti.
La cultura, però, non è erudizione, ma possesso di strumenti che mettano
in grado di comprendere i processi reali: a questo criterio non sfugge
l'analisi impietosa, per esempio, di molta parte dell'attuale formazione
matematica per la quale, nonostante il cospicuo numero di ore di
insegnamento lungo gli anni, si registra un allarmante analfabetismo in
molti adulti, "colti" ma non in grado di districarsi nel semplice uso di
percentuali. Un sapere utile, non declinato come mero funzionalismo per
il mercato del lavoro, può essere costruito solo all'interno di un
ambiente ricco di opportunità espressive, di elaborazioni personali, di
esperienze attive di soluzione di problemi reali. In sintesi, in una
sorta di moderna bottega artigiana in cui le personali inclinazioni
vengono potenziate e non appiattite nella dimensione dell'ascolto. Il
tema del cosa insegnare non è quindi scindibile da quello del come
insegnare, se ci si vuole riferire non a un astratto concetto di
cultura, ma alle sue determinazioni essenziali di soddisfazione e
autonomia del singolo nel suo rapporto con la collettività. Proprio per
tale rapporto, del resto, l'istruzione è inclusa nel paniere dei diritti
dell'individuo.
La costruzione di assi di pensiero e indicazioni sulle politiche
dell'istruzione non può, quindi, saltare la riflessione sul nesso tra le
finalità della scuola, i suoi contenuti e i suoi metodi. Ma neppure può
eludere le relazioni tra questo progetto, la capacità di articolarlo
localmente nell'ambito dell'autonomia delle scuole e la questione della
valutazione del sistema nel suo complesso e di chi in essa opera.
Il necessario passaggio dei docenti da trasmettitori di scelte fatte a
alto livello a quello di professionisti in grado di elaborare un
progetto affinché siano acquisite conoscenze e competenze fondamentali
non è semplice. Presenta un doppio rischio: che non si sappia ritrovare
un ruolo in mancanza di indicazioni prescrittive oppure che lo si trovi
in uno nuovo e incongruo, quale generico inventore di microprogettualità
indecifrabili, difficilmente riconducili alla funzione della scuola.
Rischi, questi, da non sottovalutare: visitando i siti delle scuole è
più semplice rintracciare le molte attività extrascolastiche proposte
piuttosto che leggere quale sia l'effettivo progetto locale del fare
scuola, di ciò che a scuola si vuole fare e si fa. Proprio per questo,
più si libera la scuola da un retaggio di mera riproduzione, più cresce
la necessità di forme condivise di valutazione dei singoli e del
sistema. Tanto più, inoltre, i patti dovrebbero essere chiari: non va in
questa direzione la ricerca di difficoltà fini a se stesse, di cui è un
esempio negativo la prova di matematica assegnata all'ultima maturità
scientifica, giudicata da un largo numero di docenti, che da tempo in
rete scambiano le più positive esperienze, obsoleta e inutilmente
complicata.
La scuola ha bisogno di far cogliere la complessità dei processi e dei
problemi e non di educare all'artificiosa complicazione: deve perciò
aprirsi alle diversità dei soggetti e delle loro espressioni, fornendo
strumenti per ricomporle in una solida struttura conoscitiva. Questa è
la direzione che auspichiamo che assuma oggi il dibattito sulla scuola.
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