Re: [Cabrinews] Esame di Stato, si può allargare?

Paolo Francini paolo.francini a uniroma1.it
Ven 13 Lug 2007 19:48:38 CEST


    All'indirizzo web
http://www.flcgil.it/layout/set/print/notizie/rassegna_stampa/2007/luglio/manifesto_scuola_senz_arte_ma_di_parte
    si trova un articolo di Luigi Berlinguer, comparso sul Manifesto di
    domenica. Mi pare un "atto di indirizzo" forse meno ecumenico, ma
    maturo, incisivo, responsabile,

A me, invece, quello scritto par essere tutt'altro.
Una livorosa, orgogliosa
rivendicazione dei propri meriti, di fronte alle ormai patenti constatazioni
degli esiti fallimentari ai quali le politiche (principalmente) da costui
impostate hanno condotto.

Con tanto di rituale stoccata polemica contro Lucio Russo e l'altrettanto 
santino dell'inevitabile Lorenzo Milani, reazionario
antimoderno animato da odio di classe dal quale, dal cui filone, ovunque 
evocato, poco o nulla di valido è mai venuto alla scuola italiana.

Mentre leggo gli accorati vaticini di Berlinguer, non posso fare a meno di 
ripensare ai risultati della sua azione di ministro e alla cultura che ha 
disseminato.
L'autonomia scolastica è stata un fallimento, privo di costrutto, 
ossessivamente invocatpo a ogni folata di rinascimento, tenacemente 
fallimentare negli esiti pratici.
Il vessillo
del successo formativo (indefessamente sbandierato dal nostro, per 
l'occasione assurto al rango di Grande Principio Ispiratore, degno di 
iniziali maiuscole il "Dirirtto al Successo Educativo") è
stato un fallimento, tradottosi (in sostanza) nella banale glorificazione 
del docente "generoso" [quello che in il successo formativo se lo costruisce 
da sé per definizione].

La parità scolastica è stata un fallimento.
Lo statuto delle studentesse è stato un fallimentare conato retorico.
La gloriosa "dirigenza scolastica" ai
presidi è stato un grottesco fallimento.
Il sistema dei crediti formativi è stato un
fallimento, una pagliacciata.
L'autonomia universitaria (con tanto di concorsi locali) è stata
un fallimento.
Il 3+2  e le mefitiche  "Unità Formative Capitalizzabili"
(sic) sono state un fallimento.

Buona parte della politica scolastica attuale consiste, all'incirca, nel
correre ai ripari, porre rimedio a questa storica sfilza di riforme balzane 
e complessivamente fallimentari, che tutto han fatto fuori che andare a 
cacciare le mani dove stavano i problemi seri (per dirne una, come 
ampiamente visto, dopo 15 anni di chiacchiere, riforme e rivoluzioni varie, 
ancora nel programma ufficiale di matematica ci sta il regolo calcolatore, e 
questo basta e avanza a dare la misura del tutto).

Che valore può avere una disamina, come quella berlingueriana, dove il
nocciolo delle difficoltà è individuato attraverso un'analisi
(dell'insegnamento praticato) a dir poco generica e caricaturale, priva di 
dati e gonfia di retorica?
Si scaglia contro l'insegnamento "deduttivistico", "frontale", "selettivo"
in ultima analisi "gentiliano", attribuendogli ogni sorta di colpa e di
nefandezza.
Il giochetto è quello, usuale, di costruirsi a proprio comodo la parodia del
"grande satana" di turno, demonizzarlo, concentrandovi la radice di ogni 
male.
Come nelle giostre medievali del saracino: una statua roteante, sopra un 
palo in mezzo all'arena, raffigurante il nemico, il moro, e giù a menar 
colpi, come un rito ossessivo e liberatorio.

Senza magari accorgersi che il grande satana in questione
è morto da quasi vent'anni, ma niente e nessuno ha provveduto a rimpiazzarlo 
con qualche cosa di meglio
E che, se parte rilevante
dell'insegnamento in Italia, è tuttora come un "fantasma" di quello defunto,
ciò è soprattutto perché gli insegnanti non vengono
coinvolti da almeno un quindicennio in programmi di formazione e
aggiornamento professionale seri, di grande impatto, dove non si parli delle 
solite
baggianate su conoscenze competenze griglie varie e portfoli.

Se la scuola italiana non ha mai brillato per
capacità di formazione ed aggiornamento in servizio, la pietra tombale è
giunta proprio con l'avvento dell'autonomia, laddove venne detto alle
singole scuole "chi ha filo tessa".
Da lì in poi il ministero se ne fregò altamente, programmaticamente e 
definitivamente
di come e cosa s'insegnasse in Italia, limitandosi ad incarnare la sua parte 
di centrale della pastoia
amministrativa.

Cosa mai avrebbe dovuto evitare che le magnifiche sorti del Successo
Formativo non si risolvessero semplicemente (in molti casi) in un inordinato
degrado didattico, dove ciascun docente (volendo farlo) ha potuto
liberamente autocertificare il raggiungimento di livelli di apprendimento
del tutto fittizi e del tuto slegati dall'azione didattica degli altri 
colleghi [in una girandola senza né capo né coda]?
Non vi è la minima traccia di provvedimento, attuato o anche solo
progettato, che potesse impedire di chiamare "successo formativo" la
semplice elergizione della promozione o di un titolo di studio.

Altro che gentilismi e cognitivismi: la scuola in Italia è devastata da uno 
sbracamento quotidiano, caoticamente diffuso e privo di validi meccansimi di 
controllo e organizzazione.

Troppo difficile fare un'analisi concreta delle misure concrete e valutare
razionalmente possibili costi e benefici, vantaggi e vantaggi delle varie
decisioni prese?

Che senso ha un simile conato riformistico, vaneggiante la solita, vaga, 
analisi dei
massimi sistemi, più spesso animato da astratto furore (contro nemici reali
o immaginari), anziché da attento calcolo delle strategie da adottare, per 
poi
scoprire che certe riforme, astrattamente concepite, non funzionano, e
concludere incolpando i soggetti in campo di inadeguatezza o nostalgia o
resistenza al cambiamento?

Tutto questo è sintomatico di una cultura riformistica in realtà debole, 
improvvisata,
non radicata.
Il buon riformismo non si nutre di invettive contro le avversità, ma tiene 
in conto, tra le variabili in gioco, anche dei comportamenti di
chi dovrà applicare le regole, cercando di indirizzarli con misure 
opportune.

Che tocchi al redivivo Berlinguer, giurista insigne e sopraffino, di 
presiedere la commissione ministeriale incaricata di risollevare le sorti 
della cultura scientifica nel nostro paese lo trovo francamente umiliante, 
verso la cultura scientifica nel nostro paese -- e spiega ampiamente perché 
una simile commissione si sia resa necessaria.




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