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IL MARGINALISMO

Il marginalismo è una corrente di pensiero sviluppatasi in ambito economico tra il 1870 e 1890. La metodologia marginalista è quella che ancora oggi esercita maggiore influenza (rispetto a quella classica e marxista).

Con il marginalismo si assiste ad un'evoluzione fondamentale, in particolar modo nell'ambito della teoria del valore: in sostanza nell'impostazione classica e marxista, ad esempio, è la quantità di lavoro che definisce il valore di un prodotto; invece in base all'impostazione marginalista è il valore del prodotto che definisce il valore dei fattori produttivi, tra cui il lavoro. La teoria del valore sostenuta dai marginalisti è fondata su fattori esclusivamente soggettivi, basati su calcoli di convenienza dei singoli individui: il valore di un prodotto è definito sulla base "dell'importanza che il consumatore attribuisce al prodotto stesso".

La metodologia marginalista, a differenza di quella classica che ritiene fondamentale lo studio della crescita, incentra la sua analisi sull'equilibrio e sulla ricerca di metologie di allocazione delle risorse in modo efficente.Grazie alla maggior professionalizzazione rappresentata dalla scuola marginalista, e grazie all'adozione di strumenti matematici come il calcolo infinitesimale, fu possibile definire in modo accurato e formale il concetto di utilità marginale, concetto cardine della teoria marginalista.

La scuola marginalista, inizialmente, fu ostacolata: Jevons dovette "fronteggiare" la scuola classica, mentre, ad esempio, Menger dovette "fare i conti" con l'impostazione della scuola storica tedesca, la quale criticava radicalmente l'approccio logico-deduttivo, proprio dei marginalisti. Ben presto ci si rese conto che un'approccio eccessivamente relativista non era idoneo a spiegare i fenomeni, basti pensare alla scuola storica tedesca, e il marginalismo fu accettato e si diffuse notevolmente, anche in quanto espressione della professionalizzazione della disciplina economica.

La scuola neoclassica

Negli anni 1871-1874 viene elaborato un nuovo metodo di indagine che prende il nome di scuola neoclassica. All’interno ritroviamo la teoria marginalista (Menger, Jevons, Walras) che non parte, al pari dei classici, dalla produzione, ma dal consumo e dall’utilità che è possibile trarre dal consumo dei beni. Si basa sul concetto di utilità marginale che diventa la misura del valore dei beni: essi hanno un valore in quanto sono utili, cioè servono a soddisfare un bisogno dell’uomo, e tale valore è tanto più elevato quanto maggiore è la scarsità dei beni e più intenso il bisogno.

Per i marginalisti, al pari dei classici, non sono ipotizzabili crisi di mercato, dato che i beni prodotti sono totalmente veinduti e i fattori produttivi completamente impiegati: arrivano quindi, anche se con strumenti diversi, alle stesse conclusioni dei classici(motivo per cui assume il nome di "scuola neoclassica").

Alfred Marshall (1842-1924) – scuola di Cambridge –afferma che il costo e l’utilità contribuiscono entrambi alla determinazione del prezzo dei beni conciliando così la teoria classica del costo con quella marginalista dell’utilità. L’utilità determina il prezzo nel breve periodo e il costo

l prezzo nel lungo periodo. La curva dell'utilità marginale porta ad elaborare la curva della domanda  collettiva.

Potremo sintetizzare il cambiamento introdotto dal sistema teorico neoclassico nelle seguenti caratteristiche:

  1. perde interesse il fenomeno dello sviluppo economico a vantaggio dei problemi su come allocare risorse date;

  2. il principio di utilità è posto alla base di tutto il discorso economico;

  3. il metodo adottato si basa sul principio di sostituzione, cioè che le alternative in gioco siano aperte e che le decisioni siano reversibili;

  4. i soggetti economici devono essere individui o aggregati minimi come le famiglie o le imprese, facendo così scomparire i soggetti collettivi e le classi politiche;

  5. l’economia viene assimilata alle scienze naturali assumendo quel carattere assoluto tipico delle leggi di natura;

  6. si sostituisce la teoria soggettivistica del valore con quella oggettivistica, cioè i valori esistono indipendentemente dalle scelte individuali.