L'ordine mondiale secondo J.M. Keynes


Verso la fine della seconda guerra mondiale, la conferenza di Bretton Woods, nel 1944, istituì il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BM), il tallone oro e la convertibilità del dollaro a 35 dollari l’oncia d’oro. La notorietà acquisita da John Maynard Keynes con la sua critica fondamentale del Trattato di Versailles del 1919, e in seguito alle sue innovative proposte teoriche per uscire dalla Grande depressione, gli valsero l’incarico di capo della delegazione britannica.

Per il dopo-guerra, Keynes aveva immaginato un sistema in cui le grandi nazioni non sarebbero più state costrette ad anteporre il rispetto degli accordi commerciali agli obiettivi di progresso sociale, con particolare riferimento alla piena occupazione. Vedeva una felice coesistenza del libero scambio con un sistema generoso di tutele assicurato dalle istituzioni finanziarie internazionali. Tale sistema sarebbe stato caratterizzato innanzitutto da un dispositivo di «aggiustamento dei crediti», che imponeva sanzioni ai paesi con un’eccedenza commerciale e non a quelli in deficit. Ciò avrebbe costretto i primi ad accettare una discriminazione nei confronti delle loro vendite, ovvero ad allargare i loro mercati interni per assorbire una maggiore quantità d’importazioni. In parallelo, ogni debitore avrebbe avuto diritto ad una linea di credito in un sistema internazionale di pagamenti, incentrato su un meccanismo di compensazione e una moneta di riserva mondiale (il bancor).

Un simile ordine era inaccettabile per gli Stati uniti. Nel mondo dell’epoca, dominato dalla schiacciante superiorità della loro industria manifatturiera, l’ideale americano era il «laissez faire» economico e il gold standard. Un mezzo di pagamento internazionale che prendesse in considerazione l’interesse dei debitori era in contrasto con il pensiero di Wall Street, così come lo sarebbe per il comune mortale l’idea di affidare la direzione di una prigione ai detenuti, o quella di uno zoo agli scimpanzé. I debiti contratti oggi devono essere rimborsati domani, a qualsiasi costo. Le finanze dei dopoguerra dovevano essere gestite dai ricchi. In fin dei conti, gli Stati uniti accettarono un FMI e una BM su basi molto più tradizionali di quanto avesse sperato Keynes, fatte salve alcune concessioni.

Negli Stati uniti, una riforma strutturale si basò in parte sul militare, ma molto di più sui risultati di questo New Deal di nuovo genere, e (successivamente) sulle riforme sociali del programma della «grande società» (sicurezza sociale, sistema di assicurazione malattie Medicare, incentivi all’edilizia e alla scuola, acquisti a credito). Ciò modificò le abitudini di consumo delle famiglie, e trasformò gli Stati uniti in una vera e propria locomotiva keynesiana che si tirava dietro il resto dei mondo. Per un certo periodo, tale convergenza fu una realtà. I paesi poveri ebbero un tasso di crescita più rapido dei paesi ricchi. Tale situazione venne a cessare nel corso degli anni ’70, allorché le banche commerciali ripresero il sopravvento. Ma era bastato qualche anno per dimostrare che Keynes aveva visto giusto. La «controrivoluzione barbara», per ripetere l’espressione dell’economista Walter Rostow, era già ben avviata negli anni ’80. In seguito, i cosiddetti paesi in via di sviluppo furono le prime e più sfortunate vittime dei crollo dei finanziamenti, allo sviluppo di ondate successive di instabilità speculativa e della crisi dei debito. Vent’anni dopo, quel sistema di sviluppo ancora aspetta interventi correttivi.

A differenza dell’Unione europea, gli Stati uniti hanno potuto beneficiare di tre fattori. Lo status di valuta di riserva dei dollaro ha consentito loro di continuare a vivere comodamente, a dispetto di elevatissimi deficit di bilancio in regime di piena occupazione, e dei netto declino della loro base industriale rispetto ai primi anni ’70. Inoltre, hanno beneficiato della loro reputazione di rifugio sicuro per investitori finanziari che desideravano sfuggire al nepotismo, alla corruzione e alla instabilità che imperversano in altre parti dei mondo (prassi peraltro spesso e volentieri incentivate dagli Stati uniti...).Infine, è bene sottolineare che i principi keynesiani fondamentali hanno guidato di fatto la politica interna americana, senza soluzioni di continuità. La loro influenza si esercita su tre piani: l’atteggiamento pragmatico dei governo e del Congresso nei periodi di rallentamento (riduzione delle imposte); quello non meno pragmatico della Federal Reserve nello stesso contesto (ridurre i tassi d’interesse senza preoccuparsi più di tanto degli eventuali effetti sui prezzi); e un importante sistema di aiuti pubblici, che assumono sostanzialmente la forma, abbastanza efficace, di garanzie di prestito e di crediti d’imposta destinati a incoraggiare il consumo delle famiglie (in particolare per quanto riguarda l’edilizia, le cure mediche, la scuola e le pensioni). La versione Usa dei «vincoli meno rigidi di bilancio» ben noti agli studiosi dei socialismo nell’Europa dell’Est di vent’anni fa.