LA CRISI DI TOKYO

All'inizio degli anni '90 Tokyo era agli occhi americani una macchina da guerra economica capace di comprare il mondo utilizzando i surplus sulle esportazioni; infatti grazie alle loro azioni convertibili (convertible bonds ) le industrie giapponesi dell'esportazione  potevano creare fondi con i quali acquistare qualsiasi impresa americana. Non bisogna dimenticare che negli anni '89 - '90 la borsa di Tokyo era molto più grande di quella di New York. L'esplosione speculativa giapponese comportava che un uomo d'affari giapponese potesse vendere un negozietto di 40mq a Tokyo  e col ricavato comprarsi un palazzo di New York, i giapponesi, per questo motivo erano considerati il nemico principale degli americani. La situazione cominciò a cambiare durante la guerra del Golfo, quando Washington costrinse Tokyo a pagare quasi 11 miliardi di $ per la spedizione contro Saddam. Oggi, l'unica preoccupazione di Washington è che Tokyo esca al più presto dalla crisi economica e riacquisti il suo ruolo di stabilità e sicurezza nell'Asia del nord - est.                                                  

La crisi finanziaria giapponese è iniziata nel '91, quando già cominciava a mancare credito per le piccole medie imprese. I giapponesi hanno commesso l'errore di non voler creare un sistema R.t.c. ( Reconstruction trans corporation ) per prenere in mano tutte le banche in difficoltà, liquidarle e poi rilanciare il mercato. Inoltre, i governi di Tokyo hanno seguito una politica fiscale restrittiva: non facevano una politica economica per il Giappone, ma una pura politica di bilancio. Con la recessione le entrate fiscali sono calate, mentre l'invecchiamento della popolazione ha portato alle stelle le spese sociali. Sicchè Tokyo si è trovata a fronteggiare deficit di bilancio spaventosi, ai quali ha reagito con un inasprimento della pressione fiscale: veniva così ulteriormnte soffocata un'economia in recessione.

Il timore del governo americano è che scatti la trappola della liquidità, che Tokyo si metta a stampare soldi senza che la gente compri nulla, peggiorando la situazione economica.

Uno dei tre principi della diplomazia giapponese è mantenere una solida posizione in Asia. Nel 1997 è scoppiata in Asia una crisi monetaria e finanziaria di tali dimensioni e di tale gravità da ripercuotersi su tutto il continente: anche sul Giappone. Tale crisi è conseguenza dello scontro tra la globalizzazione dell'economia mondiale e i problemi politici, economici e sociali dell'Asia. Tutto cià si è verificato anche in Giappone, seconda potenza economica mondiale. Per il Giappone il tratto tipico dei problemi asiatici è costituito dal ritardo nell'affrontare la questione dei crediti non recuperabili e dal rinvio delle riforme di struttura (vedi politiche sociali). Questi ritardi sono determinati dalla collusione tra burocrazia e finanza. Si tratta di qustioni molto gravi per il Giappone, che se non saranno risolte, il Giappone non potrebbe garantire il suo contributo di protagonista della scena internazionale.

Oggi Tokyo sta "affondando nel mare" da essa stessa create in Asia e le economie coreane, indonesiane, malesi, thailandesi, non si riprenderanno fino a quando il Giappone non tornerà "a galla". Per poter riemergere dalla crisi è necessario un risanamento bancario. Il '98 è stato "l'annus horribilis" del Giappone, infatti la sua economia ha continuato la corsa nel tunnel della recessione: la lievitazione del tasso di disoccupazione ha continuato a viaggiare a livello record del dopoguerra (4,3%), un dato relativamente basso per il Giappone, ma è il più alto per lo Stato nipponico; inoltre le spese per l'investimento hanno subìto un calo del 4,6%.

L'unica cosa che avrà lo scopo di mantenere i livelli occupazionali saranno le maximanovre a base di grandi opere pubbliche: la spese pubblica è aumentata dello 0,9%.

Concludendo il Giappone dovrà impegnarsi maggiormente sulla scena mondiale, soprattutto rispetto al rafforzamento dei rapporti bilaterali con i vari Paesi. E' questa la condizione per migliorare la loro immagine nel mondo e per aprire nuove prospettive alla diplomazia nipponica.