HONG KONG

Su Hong Kong è misurata la gravità e la durata della crisi asiatica. Colpita dall'effetto contagio della crisi di sfiducia degli investitori internazionali, l'ex colonia britannica è stata impegnata in una dura battaglia per dimostrare la forza della sua economia e dei suoi mercati finanziari.

I risultati sono stati pisitivi grazie ai "solidi fondamentali e alle misure decisive" che sono state prese. Le riserve valutarie hanno respinto la pressione svalutativa sul dollaro locale. La moneta di Hong Kong, è l'unica dell'area a restare agganciata alla valuta USA, grazie al rialzo dei tassi di interesse. L'ancoraggio al biglietto verde è considerato come una garanzia concreta dell'autonomia della città Stato nei confronti della madrepatria.

Tuttavia, il secondo mercato azionario dell'Asia ha attraversato un periodo di volatilità e di alti e bassi a causa delle crisi vicine. Alla lunga la situazione dei mercati potrebbe scoraggiare i consumi e gli investimenti e avere effetti negativi sulla crescita.

Hong Kong beneficia dei vantaggi dell'essere ormai riunita alla Cina: le industrie  ad alta intensità di forza lavoro sono da tempo sul continente e la Regione ad amministrazione speciale prospera con le attività di mediazione commerciale e con il settore bancario e finanziario. Di fronte a questa situazione l'ex colonia britannica deve fare i conti con una forte pressione speculativa per i dubbi sulla possibilità di mantenere il peg al dollaro Usa di fronte a una crisi regionale che mette alla prova anche le economie più avanzate.

La crescita economica subirà un rallentamento a causa della crisi finanziaria della regione e dei tassi d'interesse alzati per difendere la moneta. I suoi effetti si sentono già in settori come il turismo, il commercio al dettaglio e nei servizi finanziari. Anche l'edilizia è in fase di rallentamento. Un problema nuovo è quello della disoccupazione che è destinata a salire.

Per la bilancia commerciale si delinea inoltre qualche difficoltà, a causa del rallentamento dell'export, verso i Paesi della regione colpita dalla crisi. Il capo dell'esecutivo Tung Chee-hwa ha detto in febbraio che per il prossimo anno fiscale incentiverà le imprese con una riduzione delle imposte e allargherà la spesa pubblica con ingenti investimenti nelle infrastrutture, con l'obiettivo della stabilità valutaria.

L'attenzione dei governi è tutta puntata sulle mosse della Banca centrale e sul Renminbi-yuan, la cui non-convertibilità ha sostanzialmente tenuto l'economia cinese al riparo delle grandi tempeste valutarie che hanno fatto cadere a precipizio le valute della regione. Se la Cina svalutasse lo yuan innescando un nuovo giro di svalutazioni competitive, ne scaturirebbe un'ennesima ondata destabilizzante, che darebbe una dura spallata ai tentativi per riportare un pò di tranquillità sui mercati del Sud-Est asiatico.

La serenità cinese si fonda su alcuni punti di forza in grado di compensare i danni eventuali provocati dal ciclone asiatico. In primo luogo l'altissimo tasso di risparmio che potrebbe sostituire quella parte di investimenti stranieri.

Finora la Cina ha ripetutamente promesso di non svalutare; sta cercando in altre parole di agire in modo che la devastante piena dello Yagtze non finisca per travolgere anche i mercati finanziari. Pechino può galleggiare sulle sue riserve valutarie e sull'attivo commerciale al prezzo di ritardare la riforma delle sue industrie statali e di spingere Hong Kong verso una profonda recessione.

Il ciclone asiatico ha lasciato dietro di se una serie di problemi:

- crescita ridimensionata;

- inflazione indotta dalla forte svalutazione delle monete;

- forti tensioni sociali;

- restringimento dei mercati regionali da cui dipendono in modo incrociato le esportazioni dei singoli Paesi.