Glossario

una tesina di M. Bortolotti

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Introduzione 

La Maschera nella prima filologia nietzscheana

In Pirandello

La Maschera tra bene e male.

 

 

Menzogne millenarie. Alla base del filosofare critico e demistificatore di Nietzsche, che egli stesso presenta come « una scuola di sospetto », sta la tesi secondo cui la «debolezza» risulta direttamente proporzionale all'ansia di «certezza», ossia alla volontàdi verità (v.). In altri termini, secondo Nietzsche, gli uomini, per poter sopportare l'impatto con il caos e l'irrazionalità del mondo, hanno costruito una serie di « certezze » (metafisiche, religiose, morali ecc.), che, ad uno sguardo profondo, si rivelano soltanto come delle necessità di sopravvivenza, ovvero come delle « menzogne vitali ». Ad es. la metafisica «si può definire come la scienza che tratta degli errori fondamentali dell'uomo, però come se fossero verità fondamentali» (Umano, troppo umano). Ana­logamente, ogni religione «è nata dalla paura e dal bisogno e si è insinuata nell'esi­stenza fondandosi su errori della ragione» {ivi). Il rifiuto di queste menzogne, che il filosofo ha il compito di mettere a nudo, rappresenta il banco di prova del passaggio dall'uomo al superuomo: «Quanta verità può sopportare, quanta verità può osare un uomo? Questa è diventata la mia vera unità di misura, sempre più» (Ecce homo).

Volontà di verità. Espressione polemica con la quale Nietzsche intende la ricerca tradizionale di una verità assoluta e «il desiderio di un mondo permanente» (Fram­menti postumi). In altri termini, « La presunta "verità" (Wahrheit) della quale la filosofia si è considerata, di volta in volta, indagatrice, depositarla, profeta, non è altro — dal punto di vista di Nietzsche — che la volontà di conferire un significato assoluto, non smentibile, definitivo, ad una realtà che, di per sé, si presenta invece come caoticità inesauribile, irriducibile a qualsivoglia forma per mezzo della quale la ragione pretenda di catturarla» (G. Brianese).

Dionisiaco e apollineo. È la dualità, già presente in Natura, che esprime i due impulsi (Triebe) dell'anima greca e, al tempo stesso, i due impulsi che stanno alla base dell'arte (Kunsttriebe). Il dionisiaco, che scaturisce dalla forza vitale e dal senso caotico del divenire, si esprime artisticamente nella musica. L'apollineo, che scatu­risce da un atteggiamento di fuga di fronte al flusso imprevedibile degli eventi, si esprime artisticamente nelle linee armoniche dell'arte plastica e dell'epopea. Il dio­nisiaco sta all'apollineo come il caos sta alla forma, il divenire alla stasi, l'infinito al finito, l'istinto alla ragione, l'oscurità alla luce, l'inquietudine alla serenità, l'ebbrezza al sogno ecc. Tuttavia, mentre in un primo tempo, nella Grecia presocratica, dioni­siaco ed apollineo convivono separati, in un secondo tempo, nella tragedia attica, si armonizzano fra di loro: «Sulle loro due divinità artistiche, Apollo e Dioniso, è fondata • la nostra teoria che nel mondo greco esiste un enorme contrasto, enorme per l'origine e per il fine, tra l'arte figurativa, quella di Apollo, e l'arte non figurativa della musica che è propriamente quella di Dioniso. I due istinti, tanto diversi tra loro, vanno l'uno accanto all'altro, per lo più in aperta discordia, ma pure eccitandosi reciprocamente a nuovi parti sempre più gagliardi, al fine di trasmettere e perpetuare lo spirito di quel contrasto, che la comune parola "arte" risolve solo in apparenza; fino a quando, in virtù di un miracolo metafisico della "volontà" ellenica, compaiono in ultimo accop­piati l'uno con l'altro, e in questo accoppiamento finale generano l'opera d'arte, altrettanto dionisiaca che apollinea, che è la tragedia attica» (La nascita della tra­gedia). In un terzo momento, tale equilibrio viene dissolto dal prevalere dell'apollineo, che trionfa sul dionisiaco sin quasi a soffocarlo. Ciò avviene con la tragedia di Euripide e con il razionalismo di Socrate. Contro tale processo di decadenza, che ha finito per travolgere tutto l'Occidene, Nietzsche propone un recupero convinto di Dioniso (v.).

Dioniso o l'accettazione totale della vita. Dioniso, il dio dell'ebbrezza e della gioia, il dio che canta, ride e danza, il dio che bandisce da sé ogni rinunzia ed ogni fuga di fronte al mondo, rappresenta, per Nietzsche, il simbolo divinizzato di quella accet-tazione totale della vita nell'insieme dei suoi aspetti, che egli fa valere sia contro l'at­teggiamento rinunciatario della morale tradizionale, sia contro il « buddismo» di Scho-penhauer. Accettazione che va ben oltre le opposte unilateralità del pessimismo e dell'ottimismo (incapaci di cogliere la vita nell'unità dei contrari che la caratterizzano) e che mette capo ad un programma di fedeltà alla terra: «Vi scongiuro, o fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a coloro che vi parlano di sovraterrene speranze. Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio » (Così parlò Zarathustra, Prefazione).

Genealogia della morale. Espressione usata da Nietzsche per indicare quello specifico modo di accostarsi ai problemi morali che consiste nel mostrare il carattere storico o «divenuto» dei valori etici e le motivazioni umane («troppo umane») che ne stanno alla base. Metodo che ha le caratteristiche di una chimica delle idee e dei sentimenti (come suona il titolo del primo paragrafo di Umano, troppo umano): «Tutto ciò di cui abbiamo bisogno e che allo stato presente delle singole scienze può esserci veramente dato, è una "chimica" delle idee e dei sentimenti morali, religiosi ed estetici, come pure di tutte quelle emozioni che sperimentiamo in noi stessi nel grande e piccolo commercio della cultura e della società, e persino nella solitudine: ma che avverrebbe, se questa chimica concludesse col risultato che anche in questo campo i colori più magnifici si ottengono dai materiali bassi e persino spregiati? ». Ad esem­pio, dal punto di vista genealogico, la motivazione inconfessata dell'umiltà e dello spirito di sacrificio appare lo spirito di potenza e di sopraffazione; mentre la matrice dell'amore appare la cupidigia e il desiderio di possesso: «II nostro amore per il prossimo... non è un anelito verso una nuova proprietà?... Quando vediamo soffrire qualcuno, utilizziamo volentieri l'occasione offerta in quel momento per imposses­sarci di lui: così fa, per esempio, il benefattore e il compassionevole; anch'egli chiama "amore" la bramosia suscitata in lui di un nuovo possesso, e vi attinge il suo pia­cere... » (La gaia scienza). La genealogia conduce quindi, secondo Nietzsche, all'au­tosoppressione della morale (tradizionale) e alla trasvalutazione dei valori (v.).

La morale dei signori è quel tipo di morale (storicamente incarnato dalle aristo­crazie del mondo classico) che sgorga da un sentimento di pienezza o di potenza e che si esprime nei valori vitali della forza, della salute, della fierezza e della gioia.

La morale degli schiavi è quel tipo di morale che sgorga da un sentimento di debolezza e di risentimento (v.) e che risulta improntata ai valori anti-vitali dell'umiltà, del disinteresse e della pietà. Espressione emblematica di tale morale è il cristiane­simo (v.).

Risentimento. È l'odio impotente dei deboli verso i forti ossia verso ciò che essi non sono e che segretamente vorrebbero essere. Odio che si traduce in un com­portamento teso a sottomettere questi ultimi tramite una tavola di valori anti-vitali che rappresentano l'esatto capovolgimento di quelli vitali. In virtù del fenomeno del risentimento, la morale si configura dunque come uno strumento di dominio, e ciò non solo nel senso del manifesto annichilamento del «debole» da parte del «forte», ma anche del meno evidente annichilamento del «forte» da parte del «debole».

Trasvalutazione dei valori. È la frase famosa con cui Nietzsche sintetizza la sua opera di reinterpretazione-trasformazione dei valori: «La verità è tremenda: perché fino a oggi si chiamava verità la menzogna. Trasvalutazione di tutti i valori: questa è la mia formula per l'atto con cui l'umanità prende la decisione suprema su se stessa, un atto che in me è diventato carne e genio» (Fece homo).

Cristianesimo. L'attacco nietzschiano al cristianesimo avviene sostanzialmente a due livelli. Il primo, di ordine generale, si connette al tema della «morte Il secondo, più specifico, si concretizza nell'assimilazione del cristianesimo a «ne­gazione istituzionalizzata della volontà di vivere» (T. W. Adorno), owero a tipica morale degli schiavi (v.). Particolarmente significative, da questo punto di vista, le invettive de L'Anticristo: «II cristianesimo ha preso le parti di tutto quanto è debole, abietto, malriuscito; della contraddizione contro gli istinti di conservazione della vita forte ha fatto un ideale; ha guastato persino la ragione delle nature intellettualmente più forti, insegnando a sentire i supremi valori della intellettualità come peccaminosi, come fonti di traviamento, come tentazioni», « II concetto cristiano di Dio — Dio come divinità degli infermi, Dio come ragno, Dio come spirito — è uno dei più corrotti concetti di Dio, che siano mai stati raggiunti sulla terra; esso rappresenta forse, nello sviluppo discendente dei tipi di divinità, addirittura il grado dell'infimo livello. Dio degenerato fino a contraddire la vita, invece di esserne la trasfigurazione e l'eterno s/'! In Dio è dichiarata l'inimicizia alla vita, alla natura, alla volontà di vivere!».

Scienza e positivismo. Contro la mentalità scientifica e contro il positivismo, Nietzsche afferma che la scienza non costituisce un sapere oggettivo privo di pre­supposti, in quanto sgorga anch'essa da determinati presupposti e atteggiamenti extra-scientifici (per es. dall'idea dell'assoluta utilità della conoscenza o dal vagheg­giamento di un mondo di matematica perfezione e semplicità ben diverso da quello caotico e pluriforme dell'esperienza quotidiana). Inoltre, contro il culto positivistico del «fatto» — in virtù del quale la scienza stessa non risulta lontana dall'ideale ascetico del cristianesimo per la sua adorazione della verità oggettiva, per il suo stoicismo intellettuale che interdice il s; e il no di fronte alla realtà — Nietzsche sostiene che la realtà non è una serie di dati che ci vincolano necessariamente, ma un insieme di interpretazioni in cui ne va di noi stessi: «no, proprio i fatti non ci sono, bensì solo interpretazioni» (Frammenti postumi), «il fatto è sempre stupido e in tut­ti i tempi è apparso più simile a un vitello che a un Dio» {Considerazioni inattuali).

Storicismo e storia. Pur criticando lo storicismo e l'eccesso di memoria storica — che inchiodano l'uomo al passato e ne paralizzano le iniziative, dimenticando che «per ogni agire ci vuole oblìo» — Nietzsche ammette non solo il «danno», ma anche «l'utilità» della storia. Infatti, la vita ha bisogno dei «servizi» della storia sotto i tré aspetti della storia monumentale (v.), archeologica (v.) e critica (v.).

La storia monumentale è il tipo di storia di cui l'uomo ha bisogno «in quanto è attivo e ha aspirazioni», cioè il tipo di memoria che gli fornisce modelli per l'azione:

«In che giova dunque all'uomo d'oggi la considerazione monumentale del passato, l'occuparsi delle cose classiche e rare delle epoche precedenti? Egli ne deduce che la grandezza, la quale un giorno esistette, fu comunque una volta possibile, e perciò anche sarà possibile un'altra volta; egli percorre più coraggiosamente la sua strada, poiché ora il dubbio che lo assale nelle ore di debolezza, di volere forse l'impossibile, è spazzato via» {Considerazioni inattuali. II).

La storia archeologica è il tipo di storia di cui l'uomo ha bisogno «in quanto preserva e venera», ossia il tipo di storia che nasce dalla venerazione verso un passato di cui ci si riconosce eredi e da cui ci si sente giustificati: «Della storia ha bisogno [...] colui che guarda indietro con fedeltà e amore, verso il luogo onde proviene, dove è divenuto [...]. La felicità di non sapersi totalmente arbitrar! e fortuiti, ma di crescere da un passato come eredi, fiori e frutti, e di venire in tal modo scusati, anzi giustificati nella propria esistenza — è questo ciò che oggi si designa di pre­ferenza come il vero e proprio senso storico...». Ovviamente, per queste sue carat­teristiche, la storia antiquaria contiene in sé un potenziale pericolo, in quanto «osta­cola la forte risoluzione per il nuovo, quindi paralizza chi agisce...» {ivi).

La storia critica è il tipo di storia di cui ha bisogno l'uomo « in quanto soffre e ha bisogno di liberazione», ossia il tipo di storia che nasce da un atto di libertà di fronte al passato: «Qui si fa chiaro come l'uomo abbia molto spesso necessariamente bisogno, accanto al modo monumentale e antiquario di considerare il passato, di un terzo modo, quello critico [...]. Egli deve avere, e di tempo in tempo impiegare, la forza di infrangere e di dissolvere un passato per poter vivere: egli ottiene ciò traendo quel passato innanzi a un tribunale, interrogandolo minuziosamente, e alla fine condan­nandolo...» (ivi).

Dio, per Nietzsche, è la più antica delle bugie vitali («la nostra più lunga men­zogna») ovvero la menzogna che riassume tutte le altre menzogne. Dio rappresenta infatti la personificazione delle varie «certezze» metafisiche, morali e religiose ela­borate dall'umanità per dare un senso «plausibile» ed un ordine «rassicurante» al caos della vita e del mondo. In un'ottica più specifica. Dio si configura come il simbolo di ogni prospettiva oltre-mondana ed anti-vitale, che ponga (v. la tradizione platonico-cristiana) il senso dell'essere fuori e in alternativa all'essere: «Dio, la formula di ogni calunnia delf'aldiqua", di ogni menzogna dell'aldilà"! In Dio è divinizzato il nulla, è consacrata la volontà del nulla! ».

Morte di Dio. Espressione mediante cui Nietzsche, coerentemente con la sua visione di Dio (v.), allude al venir meno di tutte le certezze assolute che hanno sorretto gli uomini attraverso i millenni, a guisa di stabili punti di riferimento, capaci di «esor­cizzare» lo sgomento provocato dal flusso irrazionale e caotico delle cose. Tale vicenda viene presentata da Nietzsche come un evento in corso del quale l'uomo-folle (= il filosofo-profeta) scorge lucidamente l'accadere, ma di cui l'umanità non ha ancora preso coscienza (cfr. il testo). L'accettazione della morte di Dio rappresenta il presupposto necessario della transizione dall'uomo al superuomo (v.). N.B: 1) Quando Nietzsche parla della morte di Dio allude certamente anche al Dio cristiano, ma non soltanto al Dio cristiano, poiché la sua formula, come si è visto, ha una portata più generale; 2) l'ateismo di Nietzsche è radicale e rappresenta il presupposto a partire da cui prende senso e consistenza tutto il suo discorso filosofico: « Nessun dubbio infatti sull'ateismo di Nietzsche, nonostante le fondate e suggestive cautele di Heidegger [...]. Con Nietzsche non solo Dio, ma tutti gli dei sono morti» (M. Ruggenini).

«Come il "mondo vero" divenne una favola». Espressione usata da Nietzsche per alludere alla progressiva dissoluzione occidentale del platonismo, ovvero della credenza in un mondo meta-fisico, immutabile e perfetto, di cui quello reale sarebbe solo l'apparenza o la copia negativa (per le varie «tappe » di tale processo, cfr. il testo).

Nichilismo. In una prima accezione, Nietzsche intende per nichilismo «la volontà del nulla», ovvero ogni atteggiamento di fuga e di disgusto nei confronti del mondo reale. Atteggiamento che egli vede incarnato soprattutto nel platonismo e nel cri­stianesimo. In una seconda accezione, connessa alla precedente ma più circoscritta e pregnante, Nietzsche intende per nichilismo la specifica situazione dell'uomo mo­derno, che, non credendo più in un «senso» o «scopo» metafisico delle cose e nei «valori» supremi, finisce per avvertire, di fronte all'essere, lo sgomento del «vuoto» e del «nulla»: «Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al "perché?"; che cosa significa nichilismo? — che i valori supremi si svalorizzano » (Frammenti postumi). Da dove scaturisce tale venir meno dei supremi valori a cui l'Occidente, da Plafone in poi, si è affidato? Nietzsche sostiene che la disillusione nichilistica circa valori assoluti e metafisicamente inscritti nelle cose proviene da una precedente illusione circa i medesimi. In altri termini, l'uomo avrebbe dapprima creduto in un mondo governato da categorie quali l'« unità», la «verità», il «bene», il «fine»," l'essere» ecc. In seguito, essendosi reso conto che tali categorie sono fittizie, in quanto il mondo non rispecchia affatto i nostri desideri logici e morali, sarebbe piombato nella disperazione nichilista:

«II nichilismo come sfato psicologico subentra di necessità, in primo luogo, quando abbiamo cercato in tutto l'accadere un "senso" che in esso non c'è», «Insomma: le categorie "fine", "unità", "essere", con cui avevamo introdotto un valore nel mondo, ne vengono da noi nuovamente estratte — e ora il mondo appare privo di valore», « Risultato: il credere nelle categorie è la causa del nichilismo — abbiamo misurato il valore del mondo in base a categorie che si riferiscono a un mondo puramente fittizio» (Frammenti postuma. Nietzsche, pur proclamandosi anch'egli nichilista, ri­tiene di esserlo in modo tale da superare il nichilismo stesso. Da ciò la distinzione fra diversi tipi di nichilismo (v.).

Tipi di nichilismo. Nei Frammenti postumi Nietzsche afferma che il nichilismo è «ambiguo», poiché da un lato si presenta come nichilismo attivo e dall'altro come nichilismo passivo. Il nichilismo attivo, che deriva da una «cresciuta potenza dello spirito», arriva a mettere in discussione i valori e gli «articoli di fede» della tradizione, ma non risulta sufficientemente forte da porre nuovi valori. Il nichilismo passivo, che segue ad una forma di «declino e regresso della potenza dello spirito», produce esaurimento e disgregazione, ovvero un atteggiamento di arrendevolezza di fronte all'insensatezza del mondo (alla quale si reagisce solo «stordendosi»). Rifiutando il lato « passivo » del nichilismo e procedendo oltre quello « attivo», Nietzsche propende invece verso un nichilismo «radicale», che al consapevole accertamento della man­canza di un senso metafisico dato fa succedere la reinvenzione del senso stesso. In altri termini, il nichilismo radicale di Nietzsche consiste nel fare del superuomo la figura in grado di imporre un senso alla caoticità priva di senso del mondo. Tutto ciò spiega perché Nietzsche abbia voluto essere «paziente, diagnostico e terapeuta, nella stessa persona, della malattia mortale del nichilismo» (H. Kùng) e perché egli dichiari, con orgoglio, di avere il nichilismo «dietro, sotto e fuori di sé».

La teoria dell'Etemo Ritorno dell'Uguale è la dottrina secondo cui tutte le realtà e gli eventi del mondo sono destinati a ritornare identicamente infinite volte. Che cosa sia veramente l'eterno ritorno (una realtà cosmologica, un imperativo etico ecc.) e quali siano i suoi rapporti con l'iniziativa umana, costituisce una delle questioni più com­plesse della critica nietzschiana (v. il testo). Ciò non toglie che la funzione di questa dottrina, all'interno dell'economia complessiva del pensiero di Nietzsche, risulti suf­ficientemente chiara. Credere nell'eterno ritorno significa infatti ritenere: 1) che il senso dell'essere non stia fuori dell'essere, ma nell'essere stesso; 2) disporsi a vivere la vita, e ogni attimo di essa, come coincidenza di essere e senso, ossia come un gioco creativo avente in se medesimo il proprio senso appagante. Proprio per questi motivi, l'eterno ritorno, in quanto apoteosi estrema del divenire, incarna al massimo grado l'accettazione superomistica dell'essere, ponendosi, per dirla con Nietzsche, come «la suprema formula dell'affermazione che possa mai essere raggiunta».

Il superuomo. In linea generale, quello di superuomo è un concetto filosofico di cui si serve Nietzsche per esprimere il progetto di un nuovo essere qualificato da una serie di caratteristiche che emergono oggettivamente dall'insieme della sua opera. Il superuomo è colui che sa accettare la vita (v.), rifiutare la morale tradizionale (v.), operare la trasvalutazione dei valori (v.), «reggere» la morte di Dio (v.), superare il nichilismo (v.), collocarsi nella prospettiva dell'eterno ritorno (v.) e porsi come volontà di potenza (v.). Come tale, il superuomo non può che stagliarsi sull'orizzonte del futuro. Tant'è che il prefisso ùber-mensch può essere tradotto con oltre-uomo, proprio per evidenziare meglio la diversità fra il superuomo del futuro e l'uomo del presente. Sufficientemente chiaro come concetto generale, il superuomo appare piuttosto sfuggente come figura concreta. Da ciò la molteplicità delle interpretazioni circa il soggetto effettivo che dovrebbe incarnarne le istanze teoriche (che vanno da quelle di tipo estetizzante e decadente a quelle di tipo radicale o di sinistra) e il fallimento di ogni tentativo di «catturare» politicamente il messaggio di Nietzsche, che è — e rimane — di ordine prevalentemente fìlosofìco, ossia incentrato su te­matiche generali quali l'accettazione della vita, la critica della morale, la morte di Dio, il nichilismo ecc.

La volontà di potenza di cui parla Nietzsche si identifica sostanzialmente con il modo d'essere del superuomo, concepito come libertà creatrice, che, ergendosi al di sopra del caos della vita, impone ad essa i propri significati e le proprie interpre­tazioni. In altri termini, la volontà di potenza è la dimensione stessa dell'oltre-uomo, che può accettare l'essere (amor fati) solo a patto di ri-creare l'essere a propria misura. In quanto forza ermeneutica o interpretativa, la volontà coincide pure con il continuo superamento che la vita fa di se stessa, nello sforzo di reinventare inces­santemente se medesima e il proprio rapporto con il mondo: «E la vita stessa mi ha confidato questo segreto. Vedi, — disse — io sono il continuo, necessario supera­mento di me stessa», « mille sentieri vi sono non ancora percorsi; mille salvezze e isole della vita. Inesaurito e non scoperto è ancora sempre l'uomo e la terra dell'uomo... ».

Cosa in sé l'oggetto della conoscenza considerato come una realtà indipendente dalla percezione e dal giudizio del soggetto conoscente. Essa ha sempre rappresentato nelle filosofie che si richiamano al realismo, il piano della verità e della realtà contrapposto a quello dell'opinione e dell'apparenza. Contrapposta al fenomeno da un certo momento in poi ha designato il limite della conoscenza umana, che fondata sull'esperienza, non può conoscere una realtà indipendente da essa.