12 settembre 1943

 

Liberazione di Mussolini da parte delle truppe tedesche

 

Casella di testo: Nella foto: il rifugio di Campo Imperatore.
Dal primo pomeriggio del 2 settembre Mussolini è prigioniero nell'albergo rifugio di Campo Imperatore, a 2112 metri, sotto lo sperone roccioso del Gran Sasso d'Italia: ampia costruzione littoria a tre piani, con avancorpo semicircolare, guarda un grande pianoro. Gli è destinato l'appartamento 201, al secondo piano: camera, salottino, bagno, ingresso e un ambiente destinato ai custodi. Piccole finestre si aprono sul davanti. L'edificio è sorvegliato da un corpo di guardia all'ingresso, che dispone dieci sentinelle in altrettanti posti di guardia che circondano l'albergo come due anelli. La notte le guardie vengono raddoppiate. Vi sono poi pattuglie all'esterno. L'armamento è, sul principio, modesto.

 

 

 

12 SETTEMBRE 1943

 

Prime ore del mattino. Campo Imperatore

"Una fitta nuvolaglia biancastra copriva le cime del Gran Sasso, ma fu tuttavia possibile avvertire il passaggio di alcuni velivoli. Mussolini sentiva che la giornata sarebbe stata decisiva per la sua sorte" (Mussolini, Storia di un anno).

 

Mattina. Roma e Pratica di Mare

I tedeschi prelevano a Roma il generale Fernando Soleti, comandante del Corpo degli agenti di polizia, e lo conducono a Pratica di Mare. Qui Student, presente Skorzeny, gli chiede a nome di Hitler "di prestare la sua opera per evitare per quanto possibile uno spargimento di sangue, partecipando alla liberazione del duce". Rifiutandosi l'italiano di dare informazioni su Mussolini, viene congedato e trattenuto.

Successivamente Student gli mostra una fotografia aerea di Campo Imperatore: il luogo appare deserto. Alla domanda se ne fosse avvenuto lo sgombero, Soleti risponde che ciò "poteva essere possibile". Student ribatte avvertendolo che lo costringe a seguire la spedizione dei paracadutisti sul Gran Sasso: "però, comunque, lo riteneva responsabile se fosse derivato qualche danno alla persona di Mussolini".

 

Ore 10. L'Aquila

Rodolfo Biancorosso, prefetto dell'Aquila, telefona a Gueli: vuole vederlo alla base della funivia del Gran Sasso.

 

Ore 11 circa. Pratica di Mare

Atterrano i primi alianti destinati all'operazione Eiche. Si riforniscono di benzina gli aerei HS l23 che li rimorchiano.

 

Ore 11:30 circa. Villetta del Gran Sasso

Gueli scende alla stazione di base della funivia. Il prefetto Biancorosso gli comunica di prevedere un attacco all'albergo: farà, perciò, bene a condurre Mussolini altrove. Scrive l'ispettore: "mi mostro sicuro del fatto mio e dico che non è il caso di cambiare sede".

 

Ore 12 circa. Campo Imperatore

"Il sole stracciò le nubi e tutto il cielo apparve luminoso nella chiarità settembrina" (Mussolini, Storia di un anno).

 

Ore 12: 30. Pratica di Mare

Improvviso bombardamento nemico sull'aeroporto: danni a una grande pista di decollo, ma senza conseguenze per gli aerei a terra. L'allarme cessa pochi minuti prima delle tredici.

 

Ore 13 circa. Campo Imperatore

Gueli risale all'albergo. Il personale civile e gli uomini della funivia sono in allarme: molti vorrebbero andarsene, lo avverte il maestro di sci Domenico Antonelli. "Lo rassicuro" scrive Gueli "e non dico nulla a Faiola per evitare che rinforzi il servizio esterno".

 

Ore 13. Pratica di Mare

Decollo dei dodici alianti destinati al Gran Sasso, comandati dal sottotenente Elimar Meyer - Wehner. Gli aerei che li trainano sono agli ordini del tenente Johannes Heidenreich.

Sull'aliante dove sono Skorzeny e Meyer - Wehner è fatto salire il generale Soleti, disarmato e riluttante.

 

Ore 13: 30. Campo Imperatore

Gueli riceve una telefonata dal questore dell'Aquila, che gli legge questo telegramma da Roma: "Raccomandare ispettore generale Gueli massima prudenza. Capo polizia Senise". Gueli fa ripetere e scrivere questo testo, poi chiama Faiola che giunge con la guardia addetta alla persona di Mussolini, maresciallo maggiore Osvaldo Antichi, e gliene dà comunicazione. "Mi domandano la mia interpretazione" scrive, "dico chiaro che non può significare altro se non che, al caso, bisogna evitare spargimento di sangue. Devo ritenere che ciò corrispondesse alla loro aspirazione, perché ho notato nelle espressioni di entrambi, specie del Faiola, un senso di sollievo. Dopo di che pranzo e vado a riposare". È’ sicuro che il colpo di mano avverrà domattina.

Dichiara Faiola: "A tavola parlammo dell'eventualità di un intervento liberatore da parte germanica. Decidemmo, di pieno accordo, che avremmo ceduto senza contrastare in alcun modo".

Anche Mussolini è nella. sala da pranzo. Non ha toccato cibo e passeggia nervosamente. Infine se la prende con un certo Nisio De Laurentiis che riferisce: "m'incolpò d'averlo preso in giro con il mio stupido solitario". Infatti, leggendo le carte, gli ha predetto che "sarebbe stato liberato in circostanze piuttosto romanzesche". Mentre il duce lo "rimproverava per la falsa profezia, udimmo il rombo di un motore. Un aereo sbucò dalle cime del Gran Sasso".

 

Poco prima delle ore 14. Cielo del Gran Sasso

Il convoglio aereo dell'operazione Eiche giunge nel ciclo di Campo Imperatore. Per motivi inspiegabili i primi tre rimorchiatori hanno sbagliato rotta: sono dunque disponibili solo nove alianti. I velivoli sorvolano l'obiettivo per distribuirsi le zone di atterraggio. I luoghi si distinguono perfettamente e si vede molto bene la colonna degli autocarri con i paracadutisti che avanza, fra nuvole di polvere, nella valle in direzione della stazione di base della funivia.

Dopo un passaggio, gli aerei si allontanano dietro lo sperone del monte, per far credere agli italiani che il loro obiettivo non sia Campo Imperatore.

 

Poco prima delle ore 14. Valle oltre Assergi e stazione di base della funivia

Il reparto dei paracadutisti tedeschi in avvicinamento a terra, oltrepassato Assergi e girata la curva che precede il chilometro 18, apre il fuoco contro una guardia forestale, Pasqualino Di Tocco, che sta accorrendo per dar mano al posto di blocco. L'uomo è ferito e morirà il giorno dopo all'ospedale civile dell'Aquila.

La stazione di base della funivia viene occupata da un'avanguardia comandata dal tenente Weber: cade ucciso un carabiniere, Giovanni Natali, che si trova esposto al fuoco intimidatorio tedesco, e altri due badogliani sono feriti dalle bombe a mano lanciate dagli assalitori nelle finestre della palazzina. adiacente allo sbarramento stradale. Gli italiani, che attenendosi agli ordini non hanno sparato un colpo, sono disarmati e i tedeschi ne spezzano i moschetti. Quindi i paracadutisti salgono a gruppi, con la funivia, all'albergo di Campo Imperatore.

 

Ore 14 circa. Campo Imperatore e cielo del Gran Sasso

Il maresciallo Antichi riconduce Mussolini nel suo alloggio e, affacciato con lui ad una finestra, aspetta che accada qualcosa. Nel cielo, frattanto, i rimorchiatori, nascosti dalla vetta, sganciano gli alianti. Questi, girato lo sperone della montagna, all'improvviso calano da ogni parte sul pianoro di Campo Imperatore, quasi in picchiata. Skorzeny, infatti, contravvenendo alle istruzioni di Student, che ha formalmente proibito una manovra di quel tipo per prender terra perché desidera un atterraggio con volo planato col massimo di sicurezza, ha imposto le sue vedute, rivolte evidentemente ad ottenere il massimo di sorpresa. La conseguenza è la perdita di un mezzo, che ha concluso l'operazione sfasciandosi contro le rocce a trecento metri dagli altri, con contusi e tre feriti: si lamentano la rottura di una clavicola e di una gamba ed una lacerazione alla fronte.

Gli alianti prendono terra fra le rocce, tutto intorno all'albergo. Il primo a raggiungere l'obiettivo è il velivolo di Meyer - Wehner, con Skorzeny e Soleti.

 

Ore 14. Campo Imperatore

Mussolini osserva la scena dalla sua finestra, a braccia conserte. Scrive: "Un aliante si posò a cento metri di distanza dall'edificio. Ne uscirono quattro o cinque uomini in kaki, i quali postarono rapidamente due mitragliatrici e poi avanzarono. Dopo pochi secondi, altri alianti atterrarono nelle immediate vicinanze e gli uomini ripeterono la stessa manovra. Altri uomini scesero da altri alianti.” Mussolini non pensò minimamente che si trattasse di inglesi, per prelevarlo e condurlo a Salerno, dove il nemico era sbarcato nella notte tra l'otto e il nove settembre. Fu dato l'allarme".

Il suo commento spontaneo, quando si accorge che si tratta di tedeschi e non di fascisti, è riferito dal maresciallo Antichi: "Questa non ci voleva".

Alcuni velivoli, fra i quali quello di Skorzeny, sono atterrati dietro e sui lati dell'edificio.

Faiola è vicino al corpo di guardia, con alcuni sottufficiali. Corre una sentinella ad avvertirlo; si affaccia sulla soglia e ordina agli uomini di disporsi a difesa dei posti prestabiliti. Le armi in pugno, carabinieri ed agenti di PS di corsa escono dal portone, schierandosi contro i paracadutisti; di corsa Faiola sale da Gueli.

L'ispettore è a dormire nel suo alloggio al terzo piano. Bruscamente è svegliato dall'autista; sente Faiola gridare; nudo, si precipita alla finestra e intima di non far fuoco. A Faiola, sopraggiunto subito dopo, ordina: "Cedete senz'altro". Il tenente si affaccia e a gran voce ordina agli uomini di non sparare. Gueli si riveste e scende, in abito scuro e cravatta.

Si apre il portellone dell'aliante di Skorzeny, davanti a un carabiniere posto sull'angolo dell'albergo. Subito ne esce, bruscamente sospinto dal mitra di due ufficiali tedeschi che lo seguono, il generale Soleti, che è costretto a dirigersi verso l'edificio. Quindi il gruppo avanza in fila indiana.

In una stanzetta isolata sul retro è il centralino telefonico. Skorzeny e un paracadutista si avvicinano con circospezione e vi si precipitano dentro: un soldato è all'apparecchio. Skorzeny con un calcio rovescia sedia e trasmettitore, con l'impugnatura della pistola mitragliatrice fracassa il mezzo di trasmissione e, immediatamente, ritorna dagli altri. Di corsa, in fila, gli aggressori costeggiano l'edificio, voltano l'angolo e si trovano davanti a una terrazza, che è circa tre metri in alto. Intendono salirvi. Un sottufficiale paracadutista serve da appoggio, addossandosi al muro e incrociando 1e mani in basso: Skorzeny, seguito da altri, gli monta sulle spalle e scavalca la ringhiera: pensa forse di penetrare all'interno per quella via, ma subito dopo salta a terra e raggiunge, con Soleti e il suo gruppo, la facciata principale.

Sull'altopiano si stanno avvicinando, con quattro muli, gli uomini destinati a condurre Mussolini sulla montagna.

Frattanto Faiola irrompe dal duce e gli intima: "Chiudete la finestra e non muovetevi!" Si allontana e Mussolini rimane al suo posto di osservazione, da dove nota un più folto gruppo di paracadutisti che ritiene giunti con la funicolare, muoversi compatto verso l'albergo. Vede con quelli Soleti che procede, pallido, con le mani alzate che agita, ripetendo con voce stentorea: "Non sparate! Non sparate". Gli italiani lo scorgono sotto la mira dei tedeschi che, con i mitra pronti a far fuoco, ostentano grosse bombe a mano.

Giunto Soleti a circa trenta metri dall'edificio, grida ad un carabiniere che è ad una finestra: " Dov'è il commendator Gueli? Dov'è Gueli?" Gueli si affaccia e il generale, concitato, lo diffida dal fare sparare, a1trimenti sarà un massacro. Anche Skorzeny, servendosi di un interprete, grida: "Il duce è vivo?" "Vivo" g1i ribattono Gueli e Faiola, sopraggiunto col maresciallo Antichi. "Subito Mussolini" deve aver gridato Skorzeny al Faiola; e questi, fuori di sé, gli risponde tra i denti: "Ho avuto l'ordine in questo momento di consegnarvelo".

L'albergo, circondato ormai completamente dagli assalitori pronti a far fuoco, è coperto allora dal rombo enorme di alcuni aerei: sono i rimorchiatori HS 123, che incrociano molto bassi per proteggere l'operazione degli uomini a terra. Spariti gli aerei, si ode chiarissima la voce di Mussolini, dalla sua finestra del secondo piano. "Gridò, nel silenzio che stava per precedere di pochi secondi il fuoco: - Che fate! Non vedete? C'è un generale italiano. Non sparate! Tutto è in ordine! - Alla vista del generale italiano che veniva avanti col gruppo tedesco, le armi si abbassarono", racconta il duce. Altri affermano che abbia detto a voce altissima: "Fermi! Non spargete sangue!"

I paracadutisti, dal piazzale, lo riconoscono e acclamano "Heil!" e "Du-ce! Du-ce! Du-ce!" Skorzeny gli urla di ritirarsi, raggiunge l'ingresso principale coi suoi e Soleti e, rovesciate due mitragliatrici in postazione ai lati della porta, fra spintoni e botte col calcio delle armi si apre un varco tra le guardie, entra dì volata nell'atrio mentre i paracadutisti intimano "Mani in alto!" al presidio che, compreso il maresciallo dei carabinieri e il brigadiere degli agenti di PS, viene immobilizzato.

Skorzeny, senza curarsi di quanto accade, attraversa il vestibolo, imbocca a caso una scala a destra, sale i gradini a tre per volta seguito da un nugolo di armati. Allora Faiola lo guida da Mussolini, seguito da Soleti e dal maresciallo Antichi. L'irruento Skorzeny si precipita nel corridoio del secondo piano e spalanca la porta giusta. Nella stanza trova il duce con due uomini che il tedesco, poco pratico dei gradi del Regio Esercito, ritiene due ufficiali badogliani. Skorzeny, come dichiara Soleti, ha trovato Mussolini già in mano ai paracadutisti: sono due sottufficiali che, non riusciti ad entrare nell'albergo, si sono arrampicati lungo il parafulmine penetrando nella camera del duce dalla finestra; la loro scalata sta terminando quando giunge il travolgente capitano delle SS.

 

Ore 14: 04. Campo Imperatore

Mussolini, in piedi in un angolo, esce dell'oscurità: vicino gli è l'alto tenente Scwerdt. Skorzeny ordina ai due arrampicatori di mettersi di guardia nel corridoio; quindi, "sudante e commosso" - riferisce lo stesso prigioniero - gli si presenta, batte i tacchi e saluta col braccio teso, apostrofandolo in tedesco: "Duce, il Führer mi ha inviato qui per liberarvi". Secondo Mussolini, gli avrebbe detto: "Il Führer, che dopo la vostra cattura ha pensato per notti e notti al modo di liberarvi, mi ha dato questo incarico. Io ho seguito con infinite difficoltà giorno per giorno le vostre vicende e le vostre peregrinazioni. Oggi ho la grande gioia, liberandovi, di avere assolto nel modo migliore il compito che mi fu assegnato".

Parla come un invasato. La stanzetta si riempie di gente. Mussolini, con la barba di tre giorni, è descritto dal maresciallo Antichi "stanco, avvilito, tutt'altro che entusiasta" per la piega presa dagli avvenimenti; si siede anzi sulla sponda del letto e, senza alzarsi, replica in tedesco, così che gli italiani non comprendono. Nella sua versione ufficiale il duce scrive di aver detto: "Ero convinto sin dal principio che il Führer mi avrebbe dato questa prova della sua amicizia. Lo ringrazio e con lui ringrazio voi, capitano Skorzeny, e i vostri camerati che hanno con voi osato". Secondo l'ingegnere tedesco, avrebbe soltanto dichiarato: "Sapevo che il mio amico Adolfo Hitler non mi avrebbe abbandonato". Ma non vi sono troppi convenevoli, se pur ve ne sono stati: Skorzeny ha fretta: teme, infatti, un improvviso attacco aereo nemico, analogo a quello subito a mezzogiorno e mezzo a Pratica di Mare.

Skorzeny, di nuovo irrigidito sull'attenti, g1i chiede dove desideri di essere condotto. Testimonia Antichi: "il prigioniero non si attendeva forse quella domanda; sollevò lo sguardo, ebbe un attimo di incertezza poi disse "Alla Rocca delle Caminate"". Dà la risposta in italiano. Soleti aggiunge: "Mussolini confidò ai presenti che sentiva prepotente il desiderio di rientrare in seno alla famiglia, presso la quale chiedeva ai tedeschi di essere accompagnato, e che intendeva stabilirsi alla Rocca delle Caminate, essendo suo desiderio di ritirarsi a vita privata. Gli ufficiali tedeschi lo assicurarono che sarebbe stato accontentato". Per la verità, i tedeschi non possono accontentar1o. Lo sa bene Skorzeny che, allora, lo informa di quanto sta accadendo a donna Rachele ed ai figli minori del duce, Romano e Anna Maria: "nello stesso momento in cui giungevamo qui" dichiara il capitano delle SS "un secondo "commando" composto di uomini della mia unità doveva effettuare un'altra operazione per liberare la vostra famiglia. Sono sicuro che attualmente 1a liberazione è già avvenuta". Non aggiunge, però, che i familiari del prigioniero hanno come destinazione la Germania, dove già si trovano i suoi figli Vittorio ed Edda con suo genero Galeazzo Ciano, e che il piano tedesco prevede che il duce ed i suoi intimi debbano finire nelle mani di Hitler.

Risponde Mussolini: "Allora tutto è in ordine" e, stringendogli la mano, aggiunge: "Vi ringrazio di tutto cuore".

Skorzeny chiede se gli italiani dispongano di una macchina. C'è quella di Gueli. L'autista si presenta. "Lei prenderà la roba del duce e la porterà alla Rocca delle Caminate", ordina il capitano delle SS. Un carabiniere raduna gli appunti e le poche lettere del prigioniero, "la scarsa biancheria, i libri, il ritratto del figlio Bruno, che era stato accanto al suo letto nei giorni di Ponza e della Maddalena", come dichiara Antichi, ne fa un pacco e lo lega con uno spago. Intanto i feriti tedeschi dell'aliante vengono trasportati nell'albergo su materassi.

 

Ore 14: 15 circa. Villetta del Gran Sasso e Campo Imperatore

Il maggiore Mors, giunto alla stazione di base della funivia, viene a sapere via radio del felice esito dell'operazione, che comunica a Student; poi, con la funicolare, accompagnato da una ventina di uomini, sale all'albergo. Antichi lo descrive come un "biondino basso, esile, l'opposto di Skorzeny". Alla stazione superiore d'arrivo lo aspetta Berlepsch: i due, con passo tranquillo, si avviano all'edificio dov'è Mussolini.

La prima "Cicogna", destinata a trasferire il duce, è riuscita ad atterrare vicino alla stazione dl base della funivia, ma nella manovra ha subito danni alla. coda e non può riprendere subito il volo. L'aeroporto dell'Aquila, inoltre, non è stato occupato per un difetto di collegamento radio, che ha impedito a Student di dare l'ordine necessario. In volo, è la "Cicogna" di Gerlach.

 

Ore 14: 20 circa. Campo Imperatore

La "Cicogna" di Gerlach deve atterrare sul piccolo pianoro sotto l'albergo. Carabinieri e paracadutisti, in fretta, adattano alla meglio la pista sgombrando gli ostacoli dal terreno. Finalmente Gerlach, con abilità e leggerezza, atterra sotto gli occhi del sopraggiunto maggiore Mors e dell'ammirato Skorzeny.

 

Ore 14: 30 circa. Campo Imperatore

Il tenente Faiola ordina al maresciallo capo Oreste Daini di bruciare le carte riservate, che il primo conserva in camera. Il presidio italiano - al quale Skorzeny ha intimato una resa formale, con un minuto per la risposta - viene disarmato. Racconta Mors: "la guardia Italiana consegna le armi con lentezza e indifferenza. Parecchi degli uomini che la compongono gettano allegramente i loro fucili nell'abisso. Hanno l'aria contenta e scherzano con i soldati tedeschi". Per festeggiare la riuscita dell'impresa Skorzeny chiede e fa distribuire vino per tutti soldati.

Quando Mors sale al secondo piano trova un Mussolini ben diverso da quello che aveva visto nel l937: "Oggi scorgevo un uomo malato, stanco, irriconoscibile, con le guance scavate e mal rasate, sconvolto dagli avvenimenti degli ultimi mesi, indeciso di fronte ai soldati tedeschi che l'acclamavano e dì cui sapeva solo che volevano liberarlo. Mi avvicino e mi presento a lui come il comandante responsabile delle truppe impegnate nell'azione; gli annuncio che lo condurremo immediatamente da Hitler, al Gran Quartier Generale. Mi tende la mano, mi ringrazia in tedesco con parole calme e gentili. Aggiunge: "sapevo che il Führer non mi avrebbe abbandonato". Quando gli chiedo di uscire dall'albergo e di farsi fotografare, non sono affatto sorpreso della sua risposta: "Fate di me ciò che volete". Mi sembra di capire bene che con questa liberazione non è la libertà che gli viene resa, e neppure la possibilità di decidere". Anche a Skorzeny il duce è apparso "molto invecchiato. A prima vista, sembra colpito da una grave malattia".

Il prigioniero racconta ai sopraggiunti i particolari del suo arresto. Il generale Soleti gli accenna la sua avventura della mattina e si dichiara "felice di aver contribuito alla liberazione di Mussolini e di avere, forse, con la sua presenza, evitato un sanguinoso conflitto. Disse a Mussolini" - è lo stesso duce che scrive - "che non era consigliabile tornare immediatamente a Roma, dove c'era "un'atmosfera di guerra civile"; diede qualche notizia sulla fuga del Governo e del Re; venne ringraziato dal capitano Skorzeny e poiché il Soleti chiese che gli fosse riconsegnata la pistola, il suo desiderio fu accolto, così come l'altro di seguire Mussolini dovunque fosse andato".

Il duce dichiara a Gueli e a Soleti di avere avuto una premonizione di quanto sarebbe accaduto, dal momento che aveva visto un apparecchio sorvolare Campo Imperatore.

A richiesta di Skorzeny, Mussolini risponde che desidera che lo seguano Gueli, Soleti e Faiola; ma quest'ultimo, nonostante l'insistenza del duce, non accetta neppure di accompagnarlo alla Rocca delle Caminate. Anche Antichi rifiuta di partire al suo seguito. "Va bene, caro Antichi, va bene. Mi ricorderò di te", ribatte in tono benevolo Mussolini.

Poi scende, fra i tedeschi che lo sostengono. Non ha cappotto. Corre a prenderlo la cameriera Lisé (Lisetta) Moscardi. Quando glielo consegna, Mussolini "nel ringraziarmi - racconta la donna - mi abbracciò fortemente, salutandomi con cordiali espressioni. Non seppi trattenere il pianto".

 

Ore 15. Campo Imperatore

Il duce giunge alla porta dell'albergo. Indossa un ampio soprabito nero sopra un abito blu scuro troppo largo, ed ha un cappello calato sugli occhi.

All'uscita saluta tedeschi e italiani; fa avvicinare questi ultimi, a loro volta prigionieri, ed a molti stringe la mano. Gli appaiono "attoniti. Molti sinceramente commossi. Taluni anche con le lacrime agli occhi", come scrive. Testimonia Mors: "Mentre avanza con un sorriso stanco, mi chiede di fargli un piacere. Sono lieto di fare qualcosa per lui. "La prego", mi dice, "metta in libertà le mie guardie. Sono state buone con me". Glielo prometto e lui mi ringrazia con aria assente". La Moscardi lo vede rivolgersi ai carabinieri e agli agenti di PS che, sul piazzale, gli sono intorno: "Figlioli, Dio vi benedica. Mi ricorderò sempre di voi tutti", dice loro.

Casella di testo: Nelle foto: il Duce liberato.
Sulla porta Bruno Von Kayser, corrispondente di guerra dell'Illustrierte Beobacher, riprende la scena con una macchina cinematografica. Scatta anche fotografie a Mussolini, che sorride di malavoglia.

 

Intanto italiani e tedeschi seguitano a ripulire dalle pietre la pista dov'è atterrata la "Cicogna" che ora deve decollare. Quando Mussolini si avvicina all'aereo, ne scende il pilota, capitano Gerlach: gli si avvicina, si presenta. È giovanissimo. Il duce lo abbraccia. Parlano. È con loro Mors.

Testimonia Gerlach: "Quando il maggiore Mors mi presentò a Mussolini e gli disse che lo avrei portato in volo a Pratica di Mare, il duce non sembrò entusiasta dell'idea. Espresse, infatti, il desiderio di scendere a piedi all'Aquila. Gli dissi che era impossibile, perché all'Aquila si trovavano soldati badogliani. Acconsentì, allora, a salire sull'aereo. Fu a questo punto che venni avvicinato da un ufficiale delle SS, che seppi più tardi essere Otto Skorzeny. Mi pregò di prenderlo a bordo".

La richiesta è respinta energicamente dal pilota, che la ritiene irrealizzabile: pensa che sia quasi impossibile che il piccolo ricognitore riesca a decollare con tre persone, di cui una della stazza del capitano delle SS. Quest'ultimo gli ribatte che si tratta di una consegna esplicita di Hitler. Testimonia Gerlach: "ricordo quanto mi disse per convincermi: "Caro camerata, tu ora ti stai prendendo una grande responsabilità. Non si sa mai che cosa può succedere. In casi come questi è meglio essere in due. Un ufficiale delle SS al tuo fianco può sempre essere utile". Mi lasciai convincere".

 

Mussolini è issato sul Fieseler Storch quasi di peso. Sistemare poi Skorzeny è un problema. Narra Gerlach: "Era grande e grosso: pesava più di cento chili. Per salire a bordo dovette incastrarsi dietro a Mussolini in una posizione molto scomoda".

La pista di decollo è brevissima. I militari riescono ad allungarla, arretrandola dì qualche metro; verso la valle termina con un salto piuttosto profondo.

Si avvia il motore dell'aereo. Acclamano i presenti, compresi gli agenti di polizia, che salutano romanamente al grido "Du-ce! Du-ce! Du-ce!" Gli uomini trattengono la "Cicogna" per la coda e per le ali, e il motore dell'aereo è avviato al massimo. Finalmente, a un segnale del pilota, quelli a terra mollano la presa e il velivolo parte rullando e saltando sulle piccole rocce emergenti dalla pista mentre Skorzeny, aggrappato ai tubi dell'intelaiatura, tenta di imprimere dall'interno alla "Cicogna" un certo slancio. Narra quest'ultimo: "la ruota sinistra del carrello d'atterraggio urta ancora una volta violentemente contro il suolo; l'apparecchio si inclina leggermente sul davanti e ci troviamo al limite della spianata. Slittando verso sinistra, la "Cicogna" precipita nel vuoto".

È una partenza disperata. "Praticamente", dichiara Gerlach, "finimmo nel precipizio, ma alla fine riuscii a prendere quota". E il maggiore Mors: fu "un capolavoro unico. Nonostante la nostra esperienza di aviatori, siamo stati col fiato sospeso nel vedere il velivolo vacillare all'estremità della pista e sparire di colpo nell'abisso". La ruota sinistra del piccolo ricognitore si è danneggiata urtando contro un sasso, ed è fuori uso. Mussolini sembra estraneo a quanto accade: è moralmente molto abbattuto. Poco dopo si rivolge a Gerlach: "Anch'io sono pilota. In Russia" gli dice "ho guidato l'aereo del Führer". Parla un tedesco sommario e l'altro stenta a capirlo.

Racconta Skorzeny: "Volando appena a trenta metri dal suolo, la "Cicogna" fila rapidamente e raggiunge il limite oltre il quale ha inizio la depressione di Avezzano. Questa volta siamo proprio in salvo. Certamente siamo tutti e tre alquanto pallidi".

 

Verso le ore 15: 30. Campo Imperatore

Il Maggiore Mors comunica al Gran Quartier Generale di Hitler: "Ordine eseguito. Duce arriva in aereo".

Berlepsch riferisce a Mors, in un preciso rapporto, sull'andamento dell'operazione, non nascondendo il modo autoritario e arrogante assunto dal capitano delle SS nel corso dell'azione.

 

Poco dopo le ore 17. Pratica di Mare

La "Cicogna" giunge nel cielo dell'aeroporto con enorme ritardo, tanto che a terra si sono rassegnati all'idea dell'insuccesso dell'operazione. È probabile che ritengano perduto il piccolo aereo.

Nel prendere terra, Gerlach grida: "Attenzione, tenetevi bene stretti: la discesa avverrà in due tempi". Testimonia Skorzeni: "Avevo dimenticato che il carrello d'atterraggio dell'apparecchio era rimasto danneggiato. La "Cicogna" prende lentamente contatto col suolo, saltellando, appoggiandosi alternativamente sulla ruota sinistra e sullo sperone di coda; percorre un breve tratto sulla pista e poi si ferma. La manovra è riuscita perfettamente; abbiamo avuto veramente fortuna dal principio alla fine di questo volo avventuroso. Veniamo accolti con manifestazioni di giubilo dall'aiutante di campo del generale Student".

 

 

Sera del 12 settembre 1943

Comunicato stampa dell'agenzia Stefani. "Dal Quartier Generale del Führer, dodici Reparti di paracadutisti e di truppe di sicurezza germanici, unitamente a uomini delle SS, hanno oggi condotto a termine un’operazione per liberare il Duce, che era tenuto prigioniero dalla cricca di traditori. L'impresa è riuscita. Il Duce si trova in libertà. In tal modo è stata sventata la sua progettata consegna agli anglo-americani da parte del Governo Badoglio".