Il
futurismo nasce con il Manifesto pubblicato sul "Figaro" il 20 febbraio 1909
come movimento letterario o, meglio, ideologico-culturale. A un anno preciso
di distanza vede la luce (grazie ad una leggera retrodatazione) il Manifesto
dei pittori futuristi, proclama frettolosamente stilato dopo un incontro
di Marinetti con Boccioni e Carrà a Milano; altri firmatari saranno,
oltre al milanese Russolo, G. Severini a Parigi e G. Balla a Roma: gli ultimi
due furono meno direttamente implicati nella vicenda futurista al suo primo
avvio, mentre altri artisti, come Bonzagni, che avevano inizialmente dato
la loro adesione, successivamente la ritirarono.
Il volto del futurismo figurativo sarà chiaro solo nell'aprile, quando
vedrà la luce il secondo manifesto dei pittori con il titolo di Manifesto
tecnico della pittura futurista.
Questo manifesto contiene ormai tutti i principi che, dapprima enunciati
teoricamente, saranno immediatamente dopo attuati e sperimentati nel vivo
farsi della pittura futurista: la quale parte da premesse divisioniste e
neo-impressioniste, italiane e parigine, con componenti simbolistiche e vagamente
espressionistiche di radice mitteleuropea, per poi incontrarsi e misurarsi
con la più vistosa novità di quel momento, il cubismo francese,
conosciuto dai futuristi alla fine del 1911.
I problemi di linguaggio, che tanto più in questo momento iniziale
sono decisamente preminenti sui contenuti e sulla tematica stessa della macchina,
sono comunque condizionati (per esempio nella perseguita violenza dei contrasti
dei colori, nell'intenzione di coinvolgimento e scuotimento del pubblico)
dall'adesione ideologica ai principi del "modernismo" marinettiano, il cui
carattere più immediatamente percepibile è l'esaltazione della
macchina e della velocità, elevata a "religione" dell'uomo moderno.
In questo senso il futurismo
immediatamente
percepibile è l'esaltazione della macchina e della velocità,
elevata a "religione" dell'uomo moderno. In questo senso il futurismo
immediatamente percepibile è l'esaltazione della macchina e della
velocità, elevata a "religione" dell'uomo moderno. In questo senso
il futurismo interpreta gli impulsi produttivi e le necessità di ricambio
di una società capitalistico-industriale che proprio a causa della
sua arretratezza di sviluppo, in Italia, poteva far sentire con maggiore
veemenza la propria pressione di crescita e il proprio bisogno di espansione.
Il futurismo va tuttavia oltre, identificando questo bisogno di espansione
con un istinto di rivolta dalle ambigue e variamente diramate radici politiche
e culturali: il cui esito non è poi soltanto la distruzione, ma anche
la concreta impostazione di quella ricerca di ristrutturazione del linguaggio
che sarà, contemporaneamente e dopo il futurismo, l'operazione di
tutte le avanguardie e neo-avanguardie occidentali.
I CARATTERI ORIGINALI
L'originalità
del futurismo, infatti, non consiste certamente nell'esaltazione della macchina,
e neanche nel suo apprezzamento estetico, di cui esistono numerosi precedenti:
già, per esempio, nel 1856 Samuel Atkins Eliot annoverava i transatlantici
"fra i migliori esempi di belle arti". Ma il futurismo non si limitò
ad idolatrare la macchina; esso intese l'influenza che la macchina, e più
in generale i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione, avrebbero
necessariamente esercitato sulla sensibilità generale. In questo senso
gli assunti del futurismo furono ben chiariti da F. T. Marinetti nel manifesto
intitolato Immaginazione senza fili, del maggio 1913: "Il futurismo si fonda
sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto
delle grandi scoperte scientifiche. Coloro che oggi fanno uso del telefono,
del telegrafo e del grammofono, del treno, della bicicletta, della motocicletta,
dell'automobile, del transatlantico del dirigibile, dell'aeroplano, del
cinematografo, del grande quotidiano, non pensano che queste diverse forme
di comunicazione, di trasporto e d'informazione esercitano sulla loro psiche
una decisiva influenza".
Conseguentemente, il futurismo non si è limitato a inventare nuovi
soggetti, nell'ambito di una tematica modernista; ma ha cercato le concrete
ripercussioni del nuovo ideale meccanico e modernista sulla struttura del
linguaggio artistico, e anzi su tutto un comportamento di arte e di vita.
Anche quando lancia i più paradossali slogan, Marinetti è meno
banale e diretto di quanto si creda. Come la vaporiera, del Carducci,
l'automobile da corsa del manifesto marinetttiano di fondazione del futurismo
è un simbolo; l'intero manifesto è un'apologia, che celebra
il trionfo della "follia" ovvero dell'irrazionale, sulla "razionalità"
dei benpensanti (motivo che ha radici nella cultura anti-positivistica, romantica
e simbolista, e si svilupperà nel surrealismo).
Per Picasso, le sculture negre non sono belle come la Venere di Milo, ma
di più; per Marinetti l'automobile da corsa è più bella
della Vittoria di Samotracia. In entrambi i casi i termini scelti per il
confronto sono indicativi e niente affatto casuali. Il profilo della Venere
di Milo, e in particolare il suo massiccio naso greco allineato con la fronte,
la forte struttura delle orbite e della bocca, resteranno dominanti nella
tipologia femminile di Picasso. La Vittoria di Samotracia è invece
una figura impetuosa e gonfia di vento, protesa dinamicamente dalla prua
di una nave. Più bello della Vittoria di Samotracia vuol dire, nel
linguaggio neo-eracliteo dei futuristi, più dinamico, più
avventato, più esposto.
"Tutto si muove, tutto corre", è proprio una citazione di Eraclito;
e schiettamente eraclitea, e conseguente a una visione del mondo come divenire,
è la ben nota tesi marinettiana, reperibile già in Hegel, in
Nietzsche, in Darwin, che la "guerra" è la legge di tutte le cose.
La polemica dei futuristi contro la staticità cubista,
non è dunque pretestuosa, ma ben conseguente alla loro visione, anche
se della scomposizione cubista essi si valsero largamente. Ma innestarono
il linguaggio cubista in un contesto di ricerche figurative autonome, già
indipendentemente attuate prima della conoscenza stessa del cubismo e sollecitate
dalle istanze del movimento.
È sul problema della rappresentazione del movimento che si concentrano
le ricerche del futurismo figurativo fino al 1914-1915, quando Marinetti
intuisce che questo era, in qualche modo, un falso problema: non si
tratterà tanto di "rappresentare" il movimento in forme artistiche,
non si tratterà tanto di "rappresentare" la vita in un quadro o in
una scultura, quanto di movimentare l'arte, di rendere l'oggetto artistico
mobile e vivo, attivo, e di trovare una concreta comunicazione tra arte e
vita. Questa idea marinettiana, presente nei suoi scritti dal 1912 in poi,
troverà un concreto riscontro nelle arti figurative solo dopo la scomparsa
di Umberto Boccioni: questi (nato
nel 1882) muore nel 1916, ma già nel 1914-1915, proprio intuendo questa
nuova svolta del movimento, incomincia ad allontanarsi dal futurismo.
Ma finché Boccioni è vivo e attivo in seno al movimento futurista,
è lui, per le arti, il protagonista. Firma e in gran parte scrive
i manifesti della pittura, firma da solo il manifesto della scultura, prepara
un manifesto dell'architettura futurista.