james joyce

Lo scrittore irlandese James Joyce, uno dei grandi protagonisti del romanzo europeo del Novecento, giunse a Trieste nel marzo del 1905. Era nato a Dublino nel 1882, e nella sua città aveva compiuto i primi studi presso i Gesuiti e la formazione universitaria. Poco prima di lasciare l’Irlanda, nel 1904, aveva scritto un saggio autobiografico, A Portrait of the Artist, che in seguito avrebbe rielaborato nel “romanzo di formazione” A Portrait of the Artist as a Young Man. A causa di continui problemi familiari e non sopportando il conformismo culturale degli ambienti conservatori e cattolici, Joyce iniziò una sorta di “esilio” volontario in Europa: si recò prima a Zurigo, quindi a Pola e a Trieste, dove nel 1906 incontrò appunto Italo Svevo. I due scrittori si conobbero alla Berlitz School, dove Joyce lavorava come insegnante di inglese. Svevo aveva bisogno di approfondire la conoscenza di quella lingua per i suoi numerosi rapporti di lavoro con la Gran Bretagna, ma fino dalle prime lezioni le loro conversazioni deviarono sulla letteratura. Svevo passò a Joyce i suoi due primi romanzi, che suscitarono nello scrittore irlandese consensi entusiastici (soprattutto Senilità). Inoltre la contemporanea scoperta della psicanalisi freudiana, offrì a entrambi una vasta materia di indagine e di confronto, in vista di un profondo rinnovamento delle tematiche e delle tecniche della rappresentazione. Joyce, ad esempio, proseguì l’esplorazione della tecnica epifanica e realizzò un progressivo sgretolamento della narrazione naturalistica, giungendo con il monologo interiore alla rappresentazione del personaggio nella sua totale identità di individuo. Diverso è invece il caso di Svevo, per le cui opere non si può parlare di monologo interiore o di flusso di coscienza: ma non c’è dubbio che l’articolazione della scrittura, nella Coscienza di Zeno, rivelò una modalità fortemente innovativa rispetto ai tradizionali procedimenti narrativi. Nel terzo romanzo Svevo adoperò la tecnica della confessione psicanalitica: avvertì in sostanza la necessità di narrare non più le cose, ma le loro epifanie, non più l’oggettività, ma la rielaborazione che di essa compie la coscienza del personaggio.
In definitiva, sia Svevo che Joyce operarono nei confronti del frammentismo e del sovversivismo delle avanguardie storiche una ricostruzione del tessuto narrativo, spostando tuttavia il baricentro del romanzo in una posizione eccentrica, raccontando vicende e situazioni attraversate da nevrosi e da profonde lacerazioni interiori. Anche i personaggi da loro descritti nei due rispettivi capolavori, La coscienza di Zeno e Ulysses, si assomigliano molto: Zeno-Svevo e Mister Bloom convivono con una dolorosa antropologia ebraica, attraversata da frizioni e contrasti, hanno con la realtà un rapporto di non appartenenza, di evasione, di scontro.



Italo Svevo
La Coscienza di Zeno