SARTRE

Collegandosi alla tradizione del pensiero francese, Sartre inizia "L'Être et Le Néant" con il cogito cartesiano. "Io penso, dunque sono", questa è la verità assoluta della coscienza che raggiunge se stessa, tuttavia egli introduce una correzione importantissima: facendo riferimento alla fenomenologia husserliana, che considerava la coscienza come essenzialmente "intenzionale", Sartre afferma che, "nel momento in cui conosco, ho anche la consapevolezza di conoscere". E' una coscienza originaria, poichè essa è anzitutto coscienza di se stessa come conoscente e, essendo anteriore al pensiero concettuale, è anzitutto un modo di esistere, perciò essa è anche anteriore all'essere.
L'uomo è l'unico ente nel quale l'esistenza precede l'essenza; è dunque un essere indeterminato che si definisce, cioè costituisce la propria essenza, in base alle libere scelte.
La coscienza è perciò anche consapevolezza che vi è qualcosa di altro da lei stessa, che vi è l'essere. Di qui le due grandi zone dell'essere: la coscienza pura (l'essere per sè) e la coscienza di qualcosa, ossia l'essere di cui la coscienza è consapevole (essere in sè). Fra i due vi è sempre uno scarto radicale: la coscienza, che è continuamente tesa verso qualcosa che non è ancora e, nel progettarsi e proiettarsi al di fuori di sè, verso il futuro, verso la propria realizzazione, tende anche a raggiungere una situazione di stabilità, ma ciò è impossibile. Essa non riesce mai ad identificarsi con se stessa perchè le "manca qualcosa".
E' proprio questa carenza, questo nulla la struttura della coscienza, a cui è legato il destino umano. Il desiderio del resto ne è la prova: l'esistente-uomo è sempre teso verso qualcosa di diverso da acquisire; ma d'altronde questo qualcosa non è una realtà relativa, deve essere una realtà assoluta. Raggiunta questa realtà la coscienza umana perderebbe ogni dinamicità, diventerebbe una cosa, un essere, si avrebbe la coincidenza dell'in-sè e del per-se.
La coscienza dunque trapassa, supera, non dipende dagli oggetti (essere in sè) pertanto è libera, ma ciò è una condanna, perchè comporta la responsabilità delle scelte, di ciò che accade. Gli altri sono un ostacolo alla libertà; ma anche le condizioni oggettive dell'esistenza, i condizionamenti materiali di ogni tipo e lo stesso passato costituiscono dei limiti; tuttavia essi non sono condizionamenti insuperabili perché l'uomo può utilizzarli come vuole. L'unico limite veramente insuperabile, contro il quale non si può nulla, è la morte, che per Sartre, è al di fuori di ogni orizzonte di scelte, non riguarda la libertà, quindi non riguarda l'uomo. Essa rende assurde tutte le scelte di vita, toglie loro ogni senso.
Tuttavia, al di là di questo limite, "io sono libero nel mondo più assoluto e totale". Vi è solo una cosa della quale non sono libero: quella di non essere libero; siamo condannati ad essere liberi. In questo sta tutto il dramma della vita umana, perchè nessuno può scegliere al posto mio, e del resto la mia responsabilità comporta anche una dimensione sociale, perché gli altri dipendono anche dalle mie scelte. La condizione della scelta, ossia la tensione senza fine verso il futuro, genera angoscia come "continuo mettersi in gioco" e il senso di nausea, sentimento attraverso cui l'esistenza si manifesta nella sua assurdità e contingenza, nella sua mancanza di senso.
E' soprattutto nei suoi drammi che Sartre ha saputo trasporre le sue tesi filosofiche, traducendole in personaggi e situazioni di estrema plasticità e immediatezza comunicativa.

Il teatro di Sartre: il teatro della situazione

Abbiamo visto come ne "l'Etre et le Néant" Sartre definisca l'uomo in funzione della situazione, ove per situazione non si intende un generico rapporto dell'uomo in un contesto spazio-temporale, quanto piuttosto la dialettica della scelta, il contrasto tra libertà e necessità. Di qui l'ispirazione a fare del teatro non come rappresentazione scenica di sentimenti o come indagine psicologica, bensì come continuo rapporto tra uomo e cose, tra realtà e decisione. Il teatro ha la possibilità di rappresentare, meglio di ogni altro mezzo espressivo, la drammaticità di certe situazioni spinte al grado estremo di contrasto; è l'uomo preso in trappola dalle sue proprie scelte che sale sulla ribalta.
Sartre ha sempre adottato una forma drammaturgica nel complesso tradizionale e priva di scelte innovative ed elaborate, che sarebbero potute essere d'ostacolo alla comunicazione. La novità del teatro sartriano non riposa dunque nell'aspetto formale, ma proprio nel suo essere un "teatro di situazione" che rompe con il teatro psicologico borghese tradizionale, il quale metteva in scena personaggi dai "caratteri" già dati e ben definiti, per rappresentare invece un carattere nel suo farsi all'interno di situazioni complesse, che rinviano direttamente al mondo contemporaneo e ai suoi problemi, ossia l'uomo nel "momento supremo della scelta e della libera decisione che impegna tutta la vita".

Esistenzialismo