Padroni della vita altrui


La tortura dell'appello
SS e kapos dispongono della vita dei prigioneri liberamente: ogni potere è nelle loro mani.

Nel campo regnano l'arbitrio e la burocrazia.

Arbitrio e burocrazia sembrano inconciliabili, ma caratterizzano insieme la vita e le relazioni nel campo.
I tedeschi
Arbitrio e burocrazia sembrano inconciliabili, ma caratterizzano insieme la vita e le relazioni nel campo.
I tedeschi sottoponevano ogni aspetto dell'attività del lager ad una pervicace pretesa di organizzazione, in parte maniacale, in parte finalizzata ad evitare sprechi e a rendere più efficiente la macchina dello sterminio.
Si susseguivano ordini, circolari, telegrammi, provenienti sia dall'esterno che dalla direzione del campo; gli uffici amministrativi interni registravano tutto quanto accadeva, anche se con robuste eccezioni: ad esempio, gli ebrei subito gassati all'arrivo non venivano registrati tra gli ospiti del lager; il decesso delle vittime di morte violenta era per lo più attribuito a cause naturali. Questa attitudine burocratica ha permesso, tra l'altro, di documentare lo sterminio, nonostante i nazisti in fuga abbiano cercato di
distruggere ogni testimonianza in proposito.
D'altra parte, gli internati vivevano sulla loro pelle la condizione di totale arbitrio che caratterizzava i loro rapporti con i loro superiori: erano letteralmente e totalmente nelle mani di costoro e in ogni momento della giornata dal kapò o da un SS poteva giungere la morte, un atto di violenza o, molto più raramente, un aiuto a sopravvivere.
La situazione degli appelli ben rappresenta questo potere radicale di alcuni uomini su altri.